La strana storia di san Narciso, il signore delle mosche

Se c’è una bestia che tende a far schifo a qualsiasi cultura che si sia mai affacciata sul globo terracqueo, quella bestia è la mosca indubbiamente: che un po’ ovunque, e in ogni periodo della storia, è stata associata al lerciume, al tanfo, alla malattia e ai moribondi.

Lo spiega bene Ron Cherry, in un curioso articolo apparso qualche anno fa sull’American Entomologist (vol. 61/2, 2015) ed eloquentemente titolato Insects and Divine Intervention. Se a tutti noi è abbastanza nota la cattiva fama di cui godono le mosche nella cultura giudaico-cristiana e, più genericamente, nel mondo occidentale, è senza dubbio interessante notare fino a che punto lo schifo per queste bestie sia trasversale a una moltitudine di popoli diversi.

Dai nativi americani agli aborigeni dell’Australia, passando dalla Grecia Classica per arrivare all’Estremo Oriente, pare non esserci una singola cultura che, in tempi recenti, abbia espresso una simpatia anche solo vaga nei confronti delle mosche.

Con la notevole eccezione nella cattolicissima Gerona, amena città spagnola nella quale mosche giganti decorano le strade cittadine e sono considerate portafortuna dalla popolazione, che smania per vederle in grande quantità. E, no, non sto scherzando.

Apprendo questa peculiare tradizione grazie a Farming and Homesteading with the Saints, un libro a firma di Andie Andrews Eisenberg che la Loyola Press è stata così gentile da omaggiarmi in cambio di una menzione su questo blog. È un libretto molto gradevole: sicuramente pensato per quelle famiglie cattoliche che vivono nelle fattorie coltivando da sole il proprio cibo (una scelta di vita relativamente comune, in certe zone degli Stati Uniti), ma altrettanto godibile anche per chi, come me, si limita a nutrire un interesse astratto verso tutti i modi in cui la pietà popolare s’è mescolata, attraverso i secoli, alla vita contadina. Fra le pagine del libro si scoprono aneddoti più o meno noti, accompagnati da storielle veramente assurde come quella di san Narciso di Gerona, che a quanto pare è invocato dai contadini per tener lontane le mosche dalle stalle (…anche se io onestamente non mi fiderei). Ma quali sono le ragioni di questo peculiare patronato?

***

Gerona è una cittadina catalana che sorge a ridosso del confine con la Francia: una posizione strategica, intuibilmente, e perciò stesso assai pericolosa – ché, nel corso dei secoli, la città fu più volte presa d’assedio dalle truppe straniere, che volevano conquistarla.  

Nel 1286, gli odiati nemici sembrarono molto prossimi a una vittoria. La Storia con la “S” maiuscola ci dice che a determinare la loro sconfitta fu una malattia epidemica che si diffuse nell’esercito che teneva in assedio la città, costringendolo a ripiegare; ma, come è ormai noto ai lettori di questo blog, gli agiografi medievali erano tipi che non andavano troppo per il sottile e che non si lasciavano sfuggire l’occasione di esagerare un po’, se la cosa sembrava dover giovare alla catechesi.

E infatti, secondo la versione agiografica di questa storia, le odiatissime truppe nemiche stringevano già in pugno la vittoria: abbattute le mura della città spagnole, disarmati e imprigionati i pur valenti difensori, i soldati francesi avevano già fatto il loro ingresso in città, dedicandosi a tutte quelle brutture che ahinoi tristemente siamo portati ad aspettarci da un esercito di bruti militari, galvanizzati dall’euforia della vittoria. Stupri, razzie, edifici distrutti a sfregio: in quel frangente, l’esercito conquistatore non s’era fatto mancare proprio nulla; ma fu un gesto in particolare, d’una oscenità inaudita, a decretare la sconfitta di quei barbari vincitori – sto parlando cioè della decisione ardita di far irruzione nella cattedrale di Gerona, per spogliarla di tutte le sue preziose suppellettili facendo razzia degli oggetti sacri. Candelieri, ostensori e calici da messa furono saccheggiati senza alcun riguardo: ma se quel gesto non fosse stato già di per sé sufficientemente grave, i soldati invasori ebbero l’ardire di scoperchiare la tomba di san Narciso per impossessarsi del suo imponente reliquiario d’oro, tempestato di mille lucenti pietre preziose.

Sfortunatamente per loro, gli invasori non avevano tenuto in considerazione la possibilità d’essere i protagonisti di un’agiografia medievale: dettaglio che comprenderete esser molto rilevante, vista la tendenza di quel genere letterario a venarsi, spesso e volentieri, di atmosfere degne di un romanzo fantasy. O di un film dell’orrore, come in questo caso: ché quando gli invasori fecero saltare la prima gemma che adornava il reliquiario di san Narciso, il diretto interessato reagì all’affronto con la stessa benevolenza che viene solitamente dimostrata da tutte quelle entità ultramondane con poteri soprannaturali il cui eterno riposo viene disturbato da una banda di tombaroli.

Presente, la maledizione di Tutankhamon?
Ecco: così, ma peggio.

Non appena la gemma saltò dal castone, un grosso moscone fuoruscì dal reliquiario, insinuandosi nel buco venutosi a creare. Fu probabilmente un muto ‘è la tua ultima chance di fermarti’ alla volta del tombarolo, che non se ne curò minimamente e si limitò a scacciar via la mosca proseguendo in quello scandaloso furto sacro. E quella sua decisione fu anche l’ultima cosa che fece in vita sua: ché dopo quella prima mosca ne uscì un’altra, e un’altra ancora, e poi infinite altre, a decine e centinaia. Ricoprirono interamente il corpo del malcapitato, in una scena veramente degna di un film horror, infilandoglisi nella bocca e nelle narici per impedirgli di respirare, mentre cento e mille improbabili pungiglioni ne trafiggevano le carni.

Non ci fu scampo alcuno per il soldato sacrilego, che neppure ebbe la consolazione di vedersi soccorso dai suoi sodali: atterriti, i compagni d’arme optarono per una fuga precipitosa, che tuttavia fu totalmente inutile. Le mosche li inseguirono a decine di migliaia, in uno sciame assassino che, dalla tomba desacrata di Narciso, si riversò ronzante nelle strade di Gerona braccando, atterrando e uccidendo senza pietà tutti i soldati invasori.

Nell’arco di poche ore, le vie della città recavano i segni di una carneficina senza precedenti: scoppiata non già a motivo della guerra, ma unicamente causata dal divino sdegno con cui Iddio aveva concesso a san Narciso di proteggere la città che gli si era votata.

Da quel giorno, ci spiega Andie Andrews Eisenberg, «la città di Gerona onora il giorno della festa di san Narciso con un festival della durata di dieci giorni» che prende il via ogni anno il 29 ottobre, data in cui il martirologio ricorda il santo. Una data provvidenziale, verrebbe da dire, tenuto conto del fatto che le peculiari caratteristiche di questa festa la rendono esteticamente molto simile a certi mercatini di Halloween: tanto per cominciare «le bancarelle sono piene di souvenir a forma di mosca»

e moltitudini di coriandoli in guisa di insetto vengono buttati addosso ai passanti in una scena che sembrerebbe veramente degna de L’esorcista, se non si trattasse invece di un allegro carnevale collettivo.

A Gerona esiste addirittura un carrer de les mosques, ovverosia una strada costellata da bassorilievi di mosche di dimensioni abnormi, «accompagnate da una targa scritta in Catalano che invita i viandanti a acaricia les mosques de sant Narcis i demada el teu miracle»; ovverosia, chiedere una grazia a san Narciso dopo averne accarezzato quello che ne è diventato – per così dire – l’animale totemico.

Immagine tratta da What to do in Barcelona, un progetto di Barcelona Guide Bureau

Ma non solo. Secondo il folklore locale, a partire dal giorno della festa di san Narciso (e fin tanto che durano i festeggiamenti a lui dedicati) la città catalana si troverà nuovamente invasa dalle mosche, ancorché auspicabilmente non assassine: esse saranno il segno tangibile della speciale benevolenza con cui il santo patrono guarda ai fedeli che lo onorano.

“Pensa se invece li guardava male”, verrebbe da aggiungere. E speriamo bene che adesso non mi prenda in simpatia per il fatto di avergli dedicato questo post.

Un dipinto dedicato al miracolo, nella chiesa di San Felice a Girona

Per approfondire:

Andie Andrews Eisenberg, Farming and Homesteading with the Saints (Loyola Press, 2023): #gifted, per l’appunto, come scrivono le influencer

12 risposte a "La strana storia di san Narciso, il signore delle mosche"

  1. Avatar di Sconosciuto

    Anonimo

    Azzardo un’ipotesi.
    In genere non è difficile reperire mosche sul cadaveri.
    Di solito è più frequente trovarle su cadaveri recenti, ma non si può escludere che compaiano pure su resti antichi.
    Magari sono comparsi esemplari di mosche carnarie o insetti simili, che possono essere vettori di malattie infettive.
    Poi qualcuno vi ha ricamato su e le mosche sono diventate millemilioni di miliardi.
    Annalisa.

    Piace a 1 persona

  2. Avatar di Sconosciuto

    Anonimo

    Ho controllato: è morto il 29 ottobre del 307.
    Difficile che nel 1286 ci fosse ancora fauna cadaverica.
    Mi sono lasciata trasportare dall’entusiasmo, scusate.
    Magari dipende anche dal fatto che ho sposato un medico funzionario di Polizia mortuaria.
    Annalisa.

    "Mi piace"

    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Sì, diciamo che se ci fossero ancora state mosche “naturali” all’interno della cassa da morto, l’avrei trovata quantomeno una cosa allarmante 😂

      Immagino che in questo caso la fonte di ispirazione siano state banalmente le piaghe bibliche. Combinate alla malattia epidemica che si era diffusa nell’accampamento nemico costringendolo a una ritirata, e a un po’ di fantasia dell’agiografo… ci sta 😉

      "Mi piace"

        1. Avatar di Lucia Graziano

          Lucia Graziano

          Occielo, io onestamente preferirei i ragni alle mosche mille e mille altre volte, eh. Le mosche, poverine, con la loro tendenza ad appoggiarsi sulle peggio schifezze decomposte, e poi subito dopo sul tuo cibo, oltre a essere brutte sono anche potenzialmente lerce 😅

          Piace a 1 persona

  3. Avatar di Ago86

    Ago86

    “Apprendo questa peculiare tradizione grazie a Farming and Homesteading with the Saints, un libro a firma di Andie Andrews Eisenberg che la Loyola Press è stata così gentile da omaggiarmi in cambio di una menzione su questo blog.”

    CONGRATULAZIONI LUCIA!!!! Sono tanto felice per te!!! Che bello, ti stai facendo conoscere!!!!

    "Mi piace"

    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Ehm… grazie per l’entusiasmo, ma in realtà non è mica niente niente di che, eh😅

      Se si hanno un minimo di follower in target (e magari si arriva addirittura da posti strani tipo l’Italia), ci sono tanti canali per ottenere dalle case editrici (specie se estere) delle copie omaggio. Finora non l’avevo mai fatto perché non avevo tempo di star dietro alle varie scadenze, adesso invece è un periodo in cui riesco a giostrarmele e quindi mi son fatta spedire qualcosa (del resto non mi sembrano nemmeno pubblicità “troppo invasive” nel contesto).

      Ma non è dipenda da me: è che ho una nicchia molto specifica in un posto in capo al mondo, fossi a New York non mi si filerebbero manco di striscio 😂

      "Mi piace"

      1. Avatar di Ago86

        Ago86

        Dai, non minimizzarti così. Scrivi cose molto interessanti e documentate, e questa è già un’eccezione in mezzo ai vari blog (e case editrici) che campano sulla fuffa e sull’aria fritta.

        Stai facendo bene, chissà cosa ti aspetta in futuro!

        "Mi piace"

        1. Avatar di Lucia Graziano

          Lucia Graziano

          No, ma della qualità dei contenuti del mio blog sono contenta anch’io eh (grazie!), è solo che nel caso specifico delle case editrici che mandano libri omaggio non vorrei che da fuori sembrasse chissà cosa una cosa che invece non è niente di che 😛

          "Mi piace"

  4. Pingback: Da anestesista a patrono dei cavalli, facendo tappa in carcere: la strana storia di san Leonardo e della sua sfaccettata devozione – Una penna spuntata

Scrivi una risposta a Austin Dove Cancella risposta