Da anestesista a patrono dei cavalli, facendo tappa in carcere: la strana storia di san Leonardo e della sua sfaccettata devozione

Sei un santo medievale a cui è stata concessa la particolare grazia di compiere miracoli nel nome di Iddio? Amico mio, ci sono buone chance che questa possa diventare la soluzione a tutti i tuoi problemi pratici: basta ricorrere al pensiero laterale, e vedrai che le cose cominceranno pian piano a quadrare.

O, quantomeno, dovette essere questa la linea di pensiero adottata da Leonardo di Noblac (ca. 495 – 554), monaco franco di nobili natali che fin dalla tenera età aveva scelto di darsi a una vita ritirata presso il monastero di Michy, nella zona di Orléans. E tra le solide mura di quel luogo di preghiera Leonardo visse in serenità per molti anni, senza null’altro dover chiedere a Dio oltre a quello che già aveva: sennonché, attorno all’anno 520, un nuovo bisogno si venne a creare nella vita del santo monaco. Specificamente, un gran bisogno di denaro.

Leonardo ne aveva bisogno per edificare un monastero nella zona del Limosino: sentiva d’essere chiamato a questa nuova sfida e i suoi stessi confratelli l’avevano confortato nella decisione, ritenendolo ormai pronto a farsi carico della missione onerosa di porre le radici di una nuova fondazione. Peccato che i monaci non fossero in grado di supportare l’impresa se non con le loro belle parole di incoraggiamento; ed ecco dunque il nostro Leonardo trovarsi a fare (letteralmente) i conti con un problema non da poco: in che modo recuperare una grande somma di denaro in tempi ragionevolmente brevi, al fine di avviare celermente i lavori di costruzione?

Il nostro amico era pur sempre un santo medievale: specificamente, uno di quei santi medievali che ottengono miracoli non appena schioccano le dita. E tuttavia, moltiplicare denaro era evidentemente qualcosa di eccessivo persino per i fantasiosi standard dell’agiografia medievale: sicché, Leonardo decise giustappunto di utilizzare il pensiero laterale per performare un miracolo un filino più altruista ma capace di tradursi nello stesso identico risultato. Ovverosia, bussò alla porta di una donna in travaglio (dopo essersi assicurato che costei fosse piena di soldi), dicendole qualcosa che possiamo immaginare sulle linee di “ehi, figliola: lo sai che tra qualche secolo inventeranno ‘na roba che si chiama epidurale? Se vuoi, te la faccio sperimentare in anteprima”.

Non sorprendentemente, la donna in questione sviluppò una qual certa gratitudine adorante per il santo che l’aveva graziata dell’incredibile miracolo di poter dare alla luce un figlio senza provare il minimo dolore. E poiché quella donna era (santa) Clotilde, amatissima sposa del re dei Franchi, fu solo una questione di tempo prima che Leonardo si sentisse porgere la fatidica domanda “ti prego, dimmi: come posso ringraziarti?”.

E fu così che il nostro amico si vide donare in quattro e quattr’otto un appezzamento di terreno nella foresta di Pauvain, e denaro in quantità tale da potervi costruire la più maestosa delle cattedrali. E con questo lieto fine potrebbe concludersi la nostra storia, se non fossimo invece giunti al punto in cui semplicemente si volta pagina e si inizia a leggere un nuovo capitolo: quello in cui san Leonardo si trasforma in prete da strada e inizia a sporcarsi dell’odore delle pecore, per usare la metafora cui farebbe probabilmente ricorso papa Francesco.

Vale a dire: dovendo scegliere un’impresa edile cui affidare il suo cantiere, Leonardo rifiutò di compiere la scelta facile assumendo i migliori muratori sulla piazza. Decise piuttosto di destinare il suo ingente patrimonio a uomini su cui nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato: gli ex-carcerati, segnati a vita dall’infamia della loro condizione e così sfortunati da essere nati in un’epoca in cui erano del tutto inesistenti i percorsi di reinserimento sociale a vantaggio di chi, dopo aver scontato la sua pena, cercava di ritagliarsi un posto nella società.

E proprio in questo san Leonardo fu pioniere, garantendo un posto fisso e un lavoro stabile a tutti i galeotti desiderosi di reinventarsi; anzi, visti i suoi buoni risultati ottenne addirittura dal re di liberare dal carcere, per buona condotta, tutti quei prigionieri che sembravano seriamente intenzionati a rifarsi una vita onesta. Quando la costruzione fu ultimata, molti operai scelsero di restare alle dipendenze di san Leonardo offrendosi di lavorare come mezzadri nelle terre che erano proprietà del monastero: pian piano, cominciarono a conquistarsi la simpatia degli abitanti della zona, presero moglie e iniziarono a costruire delle piccole casette in cui crescere i figli che sarebbero arrivati. Fu quello l’embrione da cui nacque Saint-Léonard-de-Noblat, un delizioso villaggio medievale ancor oggi esistente sulle rive del fiume Vienne. E con questo lieto fine potrebbe concludersi la nostra storia, se non fossimo invece giunti al punto in cui semplicemente si volta pagina e si inizia a leggere un nuovo capitolo: quello in cui il nostro Leonardo diventa il santo patrono dei prigionieri in fuga.

Tutto iniziò nel 1106, quando Boemondo d’Antiochia varcò le Alpi per conoscere la donna che gli era stata promessa in sposa: la figlia del re di Francia. Profittando della sua permanenza oltralpe, Boemondo compì un lungo tour promozionale volto a reclutare forze militari con cui organizzare la seconda crociata; ed essendo evidentemente un esperto di marketing, insaporì le sue concioni con storie adrenaliniche circa tutti gli spettacoli sorprendenti e meravigliosi cui si può assistere in Terra Santa. In particolar modo, quando arrivò a Noblac, deliziò la popolazione locale con la narrazione di un incredibile miracolo che attribuì all’intercessione di san Leonardo: quando, nel corso della prima crociata, era stato catturato da re Baldovino, Boemondo non aveva avuto un attimo di esitazione nello scegliere un santo cui levare le sue preghiere – il monaco di Noblac, naturalmente, universalmente noto per la simpatia provvidente con cui guardava agli uomini in catene!

Certo: Boemondo era un prigioniero politico d’alto rango, non esattamente un ex-galeotto a carico dei servizi sociali; ciò non di meno, il santo di Noblac non restò sordo a quella richiesta d’aiuto e, a quanto pare, si materializzò miracolosamente nella cella di quel devoto, spezzando con un segno di croce le catene che lo legavano al muro. Grazie a quell’aiuto soprannaturale, Boemondo riuscì a evadere dal carcere: o così almeno raccontò in lungo e in largo non appena tornato in Occidente, anche se gli storici potrebbero avanzare garbati dubbi sulle celestiali dinamiche della sua liberazione (che comunque ci fu per davvero: e questo è già qualcosa. Boemondo fu realmente prigioniero di re Baldovino, dal 1100 al 1003: fu rimesso in libertà dietro il pagamento di un riscatto esorbitante… e, nel mentre, san Leonardo diede il suo contributo, se vogliamo dar retta alla versione del miracolato).

È difficile spiegare l’effetto dirompente che ebbe sulla brava gente questa narrazione: un leader cristiano in terra d’Oltremare, novello sposo d’una principessa della dinastia più potente al mondo, noto a tutti per essere stato uno dei più grandi condottieri della crociata, doveva la sua libertà (e forse la sua vita stessa!) all’umile santo di Noblac. In breve tempo, questa storiella divenne virale, diremmo oggi in termini moderni, generando attorno alla figura di Leonardo di Noblac un boom di popolarità che fece crescere a dismisura la devozione popolare verso il santo. E che, soprattutto, gli procurò un patronato fino a quel momento inedito: quello di santo da invocarsi quando ingiustamente carcerati perché fatti prigionieri da un nemico politico. Chiunque avesse invocato il nome di Leonardo con una sufficiente dose di affido si sarebbe visto liberare miracolosamente, per intercessione di questo celeste protettore: e in un’epoca turbolenta come quella, in cui capitava relativamente “di frequente” che qualche malcapitato venisse fatto prigioniero (vuoi perché i banditi lo prendevano in ostaggio, come spesso capitava nelle zone malfamate; vuoi perché le guerre intestine e le lotte tra fazioni non disdegnavano di ricorrere a questi espedienti per portare a casa il risultato), il santo di Noblac divenne in breve tempo uno dei più amati e dei più venerati in assoluto. In tempi difficili, non si sa mai: sempre meglio tenerselo buono.

Oggi relativamente poco conosciuto, al di fuori della sua terra natale, Leonardo di Noblac fu uno dei santi più amati del pieno Medioevo, e lo dico senza paura di esagerare: basti pensare alla quantità di uomini medievali celebri che furono battezzati proprio con quel nome, e avremo probabilmente un assaggio di quanta davvero fosse la sua popolarità. E con questo lieto fine potrebbe concludersi la nostra storia, se non fossimo invece giunti al punto in cui semplicemente si volta pagina e si inizia a leggere un nuovo capitolo: quello in cui, inaspettatamente, Leonardo si trasforma nel santo patrono dei cavalli.

E voi mi dite: cosa c’entra?
Eh, a suo modo c’entra.

Ce lo spiega Andie Andrews Einsenberg, autrice del già citato saggio Farming and Homeasteading with the Saints, chiarendo innanzi tutto che il patronato che lega san Leonardo agli animali da fattoria non è noto uniformemente a tutta la cattolicità; anzi, è diffuso quasi esclusivamente in quelle regioni alpine che abbracciano il Tirolo, la Svizzera e la Baviera. Zone cioè in cui il culto di san Leonardo era diffusissimo nel Medioevo, grazie alla presenza di un’abbazia cistercense che gli era stata dedicata nella città di Fürstenfeld: era consuetudine che i miracolati vi ci si recassero in pellegrinaggio al fine di ringraziare il santo per la grazia ricevuta, lasciando nella chiesa a titolo di ex voto delle catene spezzate, a memoria del prodigio che li aveva resi liberi. Ebbene: come spiega Andrews Eisenberg, a un certo punto, «in alcune aree della Baviera e della Germania, le catene cominciarono a essere intese dalla popolazione come le catene degli animali da fattoria».

Quando? In che periodo storico? Purtroppo non lo sappiamo, ma sicuramente questo slittamento semantico è fortemente sintomatico: passate ormai quelle epoche turbolente in cui i sequestri di persona erano un pericolo concreto per certe classi sociali, dovette perdersi nel popolino la consapevolezza di come san Leonardo fosse stato un tempo il patrono dei prigionieri. E quegli incomprensibili catenacci che se ne stavano appesi accanto alla sua effigie nella chiesa cominciarono a essere riletti nell’unico modo che poteva essere concepito dai contadini di quell’epoca: accostati agli oggetti d’uso quotidiano di cui i popolani si servivano abitualmente. Sicché, «san Leonardo cominciò a essere conosciuto come il patrono degli animali da fattoria, e specificamente dei cavalli. Le chiese e le cappelle dedicate a san Leonardo, che proliferavano in quell’area, oggi sono sede della celebrazione annuale della festa di Leonhardi, che ha luogo a metà ottobre. Uomini, donne e bambini montano sulla sella di cavalli riccamente decorati che procedono verso la chiesa, la cappella, dedicata a san Leonardo e le girano attorno per tre volte. Il sacerdote esce per benedire il bestiame; dopodiché, viene fatta girare tutt’intorno al luogo di culto una gigantesca catena, in onore di san Leonardo».

Una tradizione davvero difficile da comprendere, se ci si dovesse basare unicamente sulla vita del santo in sé e per sé, senza conoscere i passaggi intermedi che hanno posto le basi per farla nascere. Ma in fin dei conti è proprio questo il bello del folklore popolare: può sembrar strano e inspiegabile, a prima vista… ma, sotto sotto, una spiegazione c’è sempre.


Per approfondire:

  • L’immagine di copertina raffigura la Leonhardifahrt di Peißenberg, in uno scatto di Lutz Staacke (qui il suo profilo Flickr);
  • Stamane, anche Mani di Pasta Frolla parla di san Leonardo sul suo blog, proponendoci una ricetta che veniva tradizionalmente consumata in Francia nel giorno della sua festa;
  • Qui, per chi parla il Tedesco, c’è un breve documentario interamente dedicato alla festa;
  • Immancabile hashtag #gifted per dichiarare che il libro di Andie Andrews Eisenberg, Farming and Homesteading with the Saints (Loyola Press, 2023) mi è stato omaggiato dalla casa editrice in cambio di una citazione, io poi ho fatto il bis perché ‘sto libro è interessante per davvero;
  • La Palgrave Macmillan non sa nemmeno che io esista, ma io cito comunque una sua pubblicazione per chi volesse approfondire la devozione a san Leonardo nella sua veste di patrono dei prigionieri in fuga: Meghan Cassidy-Welch, Imprisonment in the Medieval Religious Imagination, c. 1150-1400 (Palgrave Macmillan, 2011)

4 risposte a "Da anestesista a patrono dei cavalli, facendo tappa in carcere: la strana storia di san Leonardo e della sua sfaccettata devozione"

  1. Whitewolf

    Di San Leonardo sapevo il patronato ma è affascinante vedere come venga su piano piano una storia agiografica semplicemente con un sottostrato antropologico!

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  2. Anonimo

    Se cerchi un Beato che fece l’anestesista ( nel senso letterale del termine) direi che potresti fare riferimento ad Andrea Bordino, in religione
    Fratel Luigi della Consolata.
    Frequentò negli anni 1950-51 un corso di scuola infermieristica con grande profitto e incominciò a lavorare nel settore ortopedico e chirurgico del ‘Cottolengo’; infermiere e anestesista di eccezionale bravura, fu pioniere tra i donatori di sangue, divise il proprio tempo con gioia, tra i sofferenti ed i disgraziati che lo circondavano in continuazione.
    P.S. Fino agli anni ‘50 gli anestesisti erano infermieri, non medici.
    Per me resta comunque un mio collega e lo ricordo molto spesso.
    Era piemontese.
    Annalisa Neviani.

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