Qual era, esattamente, la professione di cortigiana?

Nel 2018, intervenendo con un monologo ai David di Donatello, Paola Cortellesi rese celebre uno scritto che Stefano Bartezzaghi aveva pubblicato su La Repubblica del 3 maggio 2006 (a sua volta rifacendosi a un autore anonimo che lo aveva fatto circolare in Rete). Il brano, in cui sicuramente vi sarete imbattuti anche voi sui social, sottolinea con ironia amara il trattamento lessicale che trasforma in insulti a sfondo sessuale quei nomi che, declinati al maschile, indicano professioni o tratti più che rispettabili (es. un uomo allegro = un buontempone; una donna allegra = una poco di buono. Un uomo di mondo = uno che vive come un gran signore; una donna di mondo = una poco di buono). Non senza una certa efficacia, il raffronto si apre portando a esempio quello che è probabilmente l’accostamento più eclatante: se vi dico “cortigiano”, pensate senza dubbio a un funzionario che vive a corte; se vi dico “cortigiana”, pensate a una prostituta d’alto bordo.

E questo è incontestabile. La cosa è così evidente che, nel XVI secolo, anche le dirette interessate cominciarono a notarla con crescente irritazione: e infatti, le donne che vivevano nei palazzi dei signori cominciarono rattamente a definirsi “dame di corte”, proprio per distinguersi dalle viziose cortigiane che avevano scippato loro il nome, e con cui non volevano essere confuse.

Ma che cosa era successo nelle decadi immediatamente precedenti per determinare questo slittamento semantico? O, per prenderla più alla larga: chi è la cortigiana rinascimentale e quali erano esattamente le sue occupazioni professionali, al di là di quella a cui state pensando tutti?

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Il mestiere di cortigiana nasce a Roma alla metà del Quattrocento, grazie all’ascesa al trono di papi umanisti come Nicola V (+ 1455) e Pio II (+1464). Sarebbe facile cadere (come infatti si cade spesso) nella tentazione di fare ironia sui prelati dell’entourage pontificio che riempivano il Vaticano di prostitute: scandali eclatanti come quello di papa Borgia dimostrano che questo poteva certamente accadere, di tanto in tanto; non fu però al servizio di religiosi dissoluti che le cortigiane trovarono il loro ideale ambiente di lavoro. Se esse entrarono a far parte della corte pontificia, questo accadde a causa di un fenomeno in cui i papi ebbero sì un ruolo… ma non quello di cliente o di beneficiario.

Proprio in quell’epoca, sotto la guida illuminata dei pontefici umanisti di cui sopra, stava prendendo corpo a Roma la riforma della curia pontificia, per la quale si resero necessarie massicce assunzioni di intellettuali d’alto livello, da impiegare nei vari uffici via via nascenti. L’ufficio personale selezionò i professionisti sulla base delle idee che avevano in testa, e non sulla base della chierica che la ornava: sicché, la corte pontificia cominciò a popolarsi di funzionari che non necessariamente erano sacerdoti. Molti di loro, però, non volevano precludersi la possibilità di diventarlo in un domani, per ovvie ragioni di carriera (sei appena stato ammesso alla corte pontificia: e che fai, un pensierino non ce lo fai?); sicché, quei neo-assunti che non erano ancora sposati scelsero prudentemente di non sposarsi affatto, ‘votandosi’ a una vita di celibato a tutto vantaggio della loro professione. Al loro fianco, lavoravano a palazzo (come sempre capitava nelle grandi corti) un buon numero di ambasciatori, diplomatici e commercianti che sostavano in città per “trasferte di lavoro”, senza portarsi dietro mogli e figli (se non altro perché non era socialmente atteso che queste figure professionali si facessero accompagnare dal parentame).

Se vi aggiungiamo il fatto che, per ovvie ragioni, la corte pontificia aveva un re ma non una regina, con il suo piacevole seguito di dame, gentildonne e servitrici, ci renderemo conto d’essere di fronte a un quadro del tutto inedito: un palazzo regio popolato da scapoloni, che però solo in minima parte avevano contratto il voto di castità. E che, soprattutto, non avevano il minimo desiderio di condurre lo stesso stile di vita d’un sacerdote; né tantomeno erano tenuti a farlo: nessuno se lo aspettava o lo richiedeva loro. Per dirla con le parole di Paul Larivaille, autore di un gustosissimo saggio sulle cortigiane italiane del Rinascimento, quello della corte pontificia è un contesto del tutto anomalo in cui «è nettissima la preponderanza dell’elemento maschile. Mentre in tutte le altre grandi città italiane […] il numero delle donne supera talvolta di gran lunga quello degli uomini, a Roma il rapporto numerico tra i sessi è capovolto»; e inconsueta è anche l’anomala densità di messaggeri e ambasciatori, «in continuo aumento per via delle guerre sempre più frequenti e per l’accentuarsi dell’ingerenza della Chiesa nella diplomazia europea». Non ci voleva chissà quale indagine di mercato per rendersi conto di come tutta questa gente fosse (più o meno consapevolmente) alla ricerca d’un certo tipo di servizi; e, naturalmente, ogni buon commerciante sa come far combaciare domanda e offerta.

Ma la questione è più sfumata di quanto sembri: perché una cortigiana non è propriamente una prostituta. E infatti, la genesi di questa figura professionale è più onesta di quanto possa sembrare a prima vista: tornando giustappunto alla corte pontificia e a quel consesso di menti acute che la popolava, ci troviamo di fronte a un quadro in cui – semplicemente – molti di quei professionisti decisero di usare il loro tempo libero riunendosi in salotti letterari in cui discutere dei temi che stavano loro a cuore. E a questi salotti cominciarono a invitare anche donne di una certa erudizione, per allietare quelle serate con un po’ di quei benefits del tutto onesti che spesso derivano dalla presenza femminile: un punto di vista diverso dal solito, un po’ di sana frivolezza, la leggerezza di chi quella mattina ha fatto altro invece di condividere la tua stessa identica giornata di lavoro. All’epoca, le donne di una certa erudizione passavano tutta la loro adolescenza a studiare per perfezionarsi nella fine arte di intrattenere gli ospiti con musica, canto, motti di spirito, giochi da tavolo e conversazioni argute: nella società cortigiana dell’epoca, le dame erano intrattenitrici nel più lodevole senso del termine, allenate a riempire piacevolmente le serate allo stesso modo in cui oggi potrebbe farlo un programma TV di buon livello.

Non vi fu dunque nulla di male, né tantomeno nulla di strano, nelle intenzioni con cui i curiales (come erano chiamati all’epoca i funzionari della curia) cominciarono a invitare nei loro salotti donne dalla mente acuta e ben selezionate, capaci di stimolare dotte conversazioni o al contrario di stemperarle con un pizzico di leggerezza. E non vi fu alcunché di riprovevole nella scelta con cui alcuni si sentirono di dover mettere a libro paga quelle dame della cui presenza si avvalevano più spesso: in fin dei conti, stavano cominciando a occupare tutte le loro serate, in quello che – di fatto – era equiparabile a un lavoro part-time da intrattenitrice professionista. Alcuni funzionari si sentirono in dovere di garantire vitto e alloggio alle dame che con maggior regolarità animavano i loro salotti e presero per loro in affitto delle abitazioni più vicine alla loro, cioè al luogo di lavoro: «e a queste giovani venne presto attribuito un titolo che le distingueva», spiega Larivaille. «Se la curia designava la corte pontificia, e curiale (in latino curialis) il cortigiano, fu ovvio cominciare a chiamarle curiales, termine che in italiano venne tradotto in cortegiane».

Ma chi erano queste donne?
Certamente erano nubili, perché una donna coniugata avrebbe animato il salotto di suo marito, e non quello della casa d’altri; ben di rado provenivano dall’alta aristocrazia (un ambiente sociale comunque precluso ai funzionari di medio rango), ma erano giovani che, per i casi della vita, avevano avuto modo di procurarsi una vasta erudizione e che, non avendo (ancora?) un marito a mantenerle, erano ben liete di poter monetizzare la loro intelligenza. Alcune di loro abitavano ancora con i genitori; altre vivevano di rendita grazie a una famiglia ricca, dedicandosi agli interessi artistici senza volersi gravare delle incombenze di una vita coniugale.
I galantuomini che le impiegavano al loro servizio sottolinearono a più riprese, e con insistenza, che non v’era nulla di sconveniente né di interessato nella loro scelta di circondarsi di queste menti belle e acute; e probabilmente non mentivano, nel fare queste affermazioni. Non v’è evidenza che queste prime cortigiane siano state assunte con mansioni diverse da quelle di cui sopra.

Ma, ovviamente, per come è fatta la natura umana, non ci volle molto perché le cose cominciassero a cambiare.
Se sei un uomo celibe che si circonda di donne raffinate capaci di affascinarti per ore in conversazioni dotte, è ben difficile che nel mucchio non ce ne sia nemmeno una che prima o poi comincerà a solleticare i tuoi sensi, oltre che il tuo intelletto. E se sei una donna sola che vive alle spese di un professionista agiato, è ben difficile che tu sia così stupida da rifiutare le sue garbate avances – soprattutto se stiamo parlando d’una persona che ormai conosci bene, di cui ti fidi e la cui compagnia non ti ha mai fatto così schifo.

Insomma: nell’arco di qualche anno, le raffinate serate letterarie che i curiales dividevano con le loro cortigiane cominciarono a concludersi dietro le porte chiuse di una camera da letto, in uno scambio di favori che all’epoca fu comprensibilmente paragonato alla prostituzione ma che forse non sarebbe neanche poi così sbagliato accostare al tenore delle moderne relazioni dei friends with benefits. È senza dubbio vero che le cortigiane concedevano il loro corpo ai loro datori di lavoro per poter conservare il loro status sociale privilegiato, ma di certo non erano prostitute in senso stretto. Nel dubbio di come poterle esattamente definire, il maestro di cerimonie di papa Alessandro VI scrisse lapidariamente che «cortegiana est meretrix honesta»: una definizione tutto sommato generosa, se pensiamo al termine cui è stato accostato l’aggettivo.

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Naturalmente, c’era cortigiana e cortigiana.

Abbiamo notizie di alcune professioniste che davvero condussero una vita da “donna onesta”, con l’unica particolarità di aver donato il proprio corpo al ristretto numero di patroni presso il cui servizio si avvicendarono negli anni.

Alcune delle loro colleghe mostravano un atteggiamento molto più disinvolto e generoso nella scelta degli uomini cui concedersi; e ciò non di meno, ben difficilmente avrebbero potuto essere considerate prostitute. Con i loro spasimanti, molte cortigiane si intrattenevano in quel gioco dell’amore che era stato teorizzato dai grandi autori dell’amor cortese e che i raffinati umanisti conoscevano come le loro tasche. Per molti di questi uomini, una grossa parte del divertimento stava proprio nel (letterale) gioco di seduzione che li vedeva costretti a indovinare i desiderata, i tranelli e le scappatoie della loro dama – che sicuramente prima o poi si sarebbero concesse, ma non prima d’averli costretti a guadagnare quel trofeo. Sono noti casi di cortigiane che avevano l’abitudine di negarsi al loro spasimante persino nel momento stesso in cui accettavano di entrare nella sua camera da letto, mandandolo in bianco senza concedergli nulla più di un bacio e condizionando a nuove vittorie e nuove sfide la vera e propria consumazione – ben difficilmente l’atteggiamento di una prostituta. Tutt’al più, potremmo definirla una prostituta per raffinati nerd. Anche perché, a giudicare dagli scritti degli uomini dell’epoca, pare che questa studiata ritrosia avesse il potere di mandare in sollucchero questi intellettuali, trasformando la seduzione in un enigma da risolvere.
Certo, il gioco è bello finché dura poco: nessuna cortigiana sarebbe stata così stupida da negarsi all’infinito, onde evitare che la controparte vedesse svanire il divertimento e, con esso, anche il rispetto e la galanteria. In quel caso sì, la situazione avrebbe potuto farsi molto spiacevole.

E poi, naturalmente, c’erano anche cortigiane che avevano una casa più affollata di un porto di mare e che si distinguevano dalle prostitute solo in virtù del loro status più elevato. Nell’arco di pochi anni, vista la redditività di questa interessante nuova professione, capitò addirittura che famiglie della media borghesia avviassero agli studi le loro figlie adolescenti con la precisa intenzione di metterle sul mercato, con lo stesso spirito con cui il lenone gestisce il personale del suo bordello: in quel caso sì, si potrebbe parlare di vera e propria prostituzione, con l’unica differenza che queste professioniste lavoravano in proprio (e, se avevano fortuna, riuscivano ad attirare un tipo di clientela un po’ più elevata rispetto a quella che popolava i postriboli dei bassifondi).

Cito ancora Larivaille per sottolineare che appunto «quelle donne che da pochi decenni avevano usurpato il titolo di cortigiane alle nobili dame di compagnia videro a loro volta usurpato il loro prestigio, avvilito da sgualdrine di basso rango che rischiavano di disonorare la professione. A quel punto, poiché il termine cortigiana era di fatto diventato un sinonimo di prostituta, sorse la necessità di stabilire una distinzione atta a ripristinare la gerarchia». Nacque così una distinzione lessicale che riverberava sulla società: se le nobildonne rispettabili che vivevano nei palazzi signorili cominciarono a presentarsi col titolo di dame di corte, le intrattenitrici prezzolate di clienti ben selezionati ci tennero a sottolineare di essere cortigiane oneste. Veniva poi, «a debita distanza, una schiera di categorie inferiori che finiranno con l’essere chiamate cortigiane da lume o cortigiane da candela»: un modo garbato per alludere, diciamo così, alla natura prevalentemente notturna delle loro attività professionali. E poi, naturalmente, c’erano le prostitute vere e proprie, che esercitavano nei bordelli senza la possibilità di selezionare i clienti e senza la pretesa di star offrendo loro alcun tipo di servizio. «Questa terminologia si impose nei primi decenni del XVI secolo e restò praticamente immutata in seguito, sia a Roma che altrove»: insomma, è un tecnicamente improprio utilizzare oggi la voce ‘cortigiana’ come termine prezzemolino con cui definire le prostitute d’alto bordo. Una vera cortigiana del Rinascimento italiano la prenderebbe come una grave offesa, ed effettivamente non a torto: l’ennesima dimostrazione del fatto che, come spesso capita, la Storia è più sfumata e più complessa delle nostre semplificazioni.


Per approfondire:

Paul Larivalle, La vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento (BUR, 2017)

9 risposte a "Qual era, esattamente, la professione di cortigiana?"

  1. Avatar di Sconosciuto

    Anonimo

    Che dire, mia Signora, Voi siete davvero brava, come storica, e come comunicatrice; siete capace di usare forme sintattiche attuali e accattivanti, e di trasmettere, in virtù di esse, contenuti ne attuali ne particolarmente accattivanti.
    Leggo con estremo piacere i Vostri testi, e attendo, ogni volta con piacere, i Vostri nuovi post.
    Grazie, mia Signora. Vi prego di accettare i sentimenti della mia più sincera stima, e i miei più cordiali saluti.
    Gian Carlo Stellini

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Ecco, questo l’esatto tenore dei complimenti che una dama di corte o cortigiana onesta, ovverosia una intrattenitrice culturale di professione, avrebbe pagato oro per poter ricevere! 😂

      Scherzi a parte: beh grazie, troppa grazia ma davvero questo commento mi ha strappato un sorrisone 😁

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      1. Avatar di Sconosciuto

        Anonimo

        Sono felice che Voi abbiate apprezzato il mio commento, mia Signora.
        Non si trattava di semplici complimenti ma di quello che, sinceramente, io penso.
        Purtroppo non sono molto attrezzato ai fini della comunicazione “social”, e quindi risulto “anonimo”, pur essendomi sottoscritto, con nome e cognome in chiaro.
        Apprezzo poco gli anonimi, quindi, con il Vostro permesso, mi presento: Gian Carlo Stellini, Vostro sincero ammiratore.
        I miei più cordiali saluti.

        Gian Carlo Stellini

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    2. Avatar di Ajeje Brazorf

      Ajeje Brazorf

      Il significato dei due «ne» nel contesto della Vostra risposta qual è? Vi ringrazio anzitempo per la cortesia che vorrete accordarmi. I miei piú deferenti ossequi.

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  2. Avatar di Whitewolf

    Whitewolf

    Posso dire che trovo veramente interessante la figura della cortigiana onesta? anche l’idea del gioco d’amore come enigma la trovo sorprendente, chissà come funzionavano questi ricevimenti…hai per caso qualche titolo da suggerire, Lucia?

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Esiste proprio un libretto di Pietro Aretino, Ragionamento della Nanna e della Antonia fatto in Roma sotto una ficaia composto dal divino Aretino per suo capriccio a correzione dei tre stati delle donne, in cui in teoria l’Aretino raccoglie i trucchi del mestiere di Nanna, una famosa cortigiana romana (non proprio tra le più oneste però 😛 Quella era sì una cortigiana molto rispettata ma diciamo che era molto generosa nel distribuire le sue attenzioni).

      Su come si svolgessero concretamente le serate più oneste: beh, tu pensa innanzi tutto a una parte puramente ricreativa a base di giochi di società, canto, musica, conversazioni dotte a mo’ di salotto letterario – puro intrattenimento (quella sì che era una vera e propria arte che le dame di classe esercitavano a livello “professionale”, il lavoro di una dama aristocratica che viveva in un palazzo signorile era proprio quello di intrattenere gli ospiti di suo marito – tra le altre cose). Per quanto riguarda il gioco dell’amore e tutto quello che ci girava attorno, io consiglio tantissimo il De amore di Cappellano e tutti gli autori medievali che hanno scritto delle corti d’amore (veri e propri processi in cui un tribunale di donne inquisiva un innamorato per stabilire se si fosse comportato bene, se avesse il diritto di reclamare dalla sua bella il premio che cercava, etc). Erano testi ormai vecchi di qualche secolo ma continuavano comunque a influenzare moltissimo questi ambienti di raffinati umanisti, come ben immaginerai 😉

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  3. Avatar di ac-comandante

    ac-comandante

    Se proprio si volesse accoppiare il termine “cortigiana” al… malaffare, ecco, oggi si potrebbe identificarla con una escort (non riesco a non sorridere perchè ai… miei tempi Escort era solo un modello di auto della Ford 😆 ).
    Bello l’articolo.

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