La città era distrutta, sfiancata, allo stremo delle forze.
I cittadini camminavano strascicando i passi senza sapere come impiegare le loro giornate; i bambini piangevano per la fame; le loro madri e le mucche (quelle poche che erano ancora vive) erano così macilente da non riuscire più a dar loro il latte. La città non aveva più le forze per andare avanti.
Avevano lottato, avevano pregato, avevano fatto tutto ciò che potevano per prepararsi a un lungo assedio. E avevano resistito, Dio solo sa quanto: per tre lunghissimi anni avevano resistito, prigionieri di quelle stesse mura che avrebbero dovuto proteggerli. Avevano resistito mentre Aquileia, Vicenza, Verona, Milano cadevano l’una dopo l’altra, e davvero avevano creduto in cuor loro di poter essere l’eccezione. Ma ormai la città non riusciva più a combattere e la via di scampo era una sola, a meno di non voler morire di fame nei propri letti. Verso la metà del mese d’aprile dell’anno 572, la città di Pavia scelse di arrendersi all’invasore longobardo.
Era stata una scelta sofferta, causa di discussioni accese all’interno di Pavia stessa.
Resistere non era più pensabile, ma la resa ai Longobardi non sembrava comunque una soluzione praticabile. Durante i tre, lunghissimi anni d’assedio, re Alboino aveva più volte manifestato il suo odio verso quella città che rifiutava di piegare il capo. “Sapete che prima o poi entrerò a Pavia”, lo si era udito gridare oltre le mura: “e allora sarete puniti per il vostro affronto! Vi passerò a ferro e a fuoco, ad uno ad uno: e nessuno di voi sopravviverà per raccontarlo!”.
Alboino non mentiva: tutta Italia lo conosceva per la sua spietatezza. Pavia era consapevole di star andando incontro a morte certa, mentre spalancava le mura per arrendersi al nemico. Mentre Alboino avanzava per le strade deserte, oltrepassando le macerie delle case che non avevano retto ai colpi dell’assedio, l’impressione era quella di avanzare in una città fantasma; gli abitanti tenevano chino il capo, in silenzio, con la disperazione di chi sa di aver perso tutto tranne forse la sua vita, e il suono delle campane che rintoccavano dalle chiese, come una supplica di misericordia, rimbombava lugubre lungo le vie. I cittadini avevano paura anche solo a sollevare il loro sguardo.
Proprio per questo motivo fu ancor più sorprendente, per il re dei Longobardi, vedere che qualcuno gli andava incontro, uscendo da una bottega al fondo della via. Non era un emissario di Longino, né un soldato; men che meno aveva l’aria di una autorità pubblica. A dire il vero era un vecchietto, con un vestito povero e stracciato, tutto macchiato di farina: fra le mani stringeva una sorta di pane lievitato.
Alboino fu attraversato da un moto d’inquietudine (chi è che regala pani al re invasore? Aveva tutta l’aria di poter essere una trappola), ma prima che i suoi uomini potessero anche solo intercettare quel pensiero, il vecchio fornaio si era profondamente inginocchiato. Piegato a terra, invocò la protezione divina per il grande re Alboino, vittorioso conquistatore della umile Pavia: e poi si rimise in piedi, a capo chino, sollevando le sue braccia per mostrare ai Longobardi ciò teneva fra le sue mani. “Maestà”, disse piano, con la voce che tremava: “l’assedio ci ha fiaccato, non abbiamo ricchezze da offrirvi. Questo è tutto ciò che vi possiamo donare, cucinato con le ultime farine che ci restano”: e mostrò ad Alboino la pagnotta che teneva fra le mani.
Era una specie di pane lievitato, che con qualche ingrediente in più avrebbe potuto facilmente trasformarsi in una torta. E aveva la forma di colomba.
“Voi entrate a Pavia in questa domenica di festa, maestà: nella Pasqua del Signore”, scandì il fornaio. “Vi supplichiamo di avere pietà della nostra città, che si dona a voi in questo giorno santo. Nel nome del Signore oggi risorto, vi preghiamo: risparmiate noi cittadini. Lo Spirito Santo”, e accennò alla colomba lievitata, che stringeva fra le mani, “ve ne darà merito”.
Alboino esitò, tacendo per un attimo. Fra sé e sé, osservò che era proprio una grande vigliaccata, invocare la Trinità intera a protezione della propria pelle: deglutì, si domandò ansiosamente se lo Spirito Santo se la sarebbe presa per davvero, nell’eventualità di una strage cittadina. E poi, stizzito, scosse il capo: “tornate ai vostri lavori”, ordinò bruscamente: “avrete salva la vita, ma voglio che questa città torni a fiorire come un tempo!”.
Le campane suonavano a festa, annunciando la resurrezione di Cristo, e il rintocco gioioso si mescolò alle grida di giubilo dei cittadini. Da quell’anno, ogni anno, la città di Pavia celebrò la Pasqua sfornando pani a forma di colomba, in ricordo del giorno felice in cui la città rinacque dalle sue ceneri.
***
In quello stesso anno, la città di Pavia diventava capitale del Regno Longobardo.
Fu il centro del potere nel regno carolingio, i re d’Italia furono incoronati nelle sue chiese; fu la città di Boezio e di Petrarca; vi studiò Cristoforo Colombo. Dalla distruzione senza speranze di quei giorni, la città rinacque con una crescita costante, che l’ha portata, gloriosa, fino ai nostri giorni.
Una città in rovina, rinata grazie a una colomba. È così che partecipo all’iniziativa a favore delle Sorelle Nurzia: con questo post: sperando che la Storia si ripeta, e che la leggenda possa essere di buon auspicio.
***
Quanto c’è di vero in questa storia? Sicuramente molto poco: naturalmente, è del tutto infondata la leggenda che colloca la nascita della colomba di Pasqua nel contesto dell’assedio di Pavia. Ancor oggi, sulle rive del Ticino, i Lombardi amano raccontarla con orgoglio, ma si tratta chiaramente di una leggenda di nascita recente, non attestata dalle fonti storiche.
È vero però che la piccola Pavia resistette stoicamente all’invasione longobarda nel corso di un lungo assedio durato più di tre anni, dal 569 al 572; ed è vero anche che, a quanto dicono le fonti, un miracolo si verificò per davvero nel giorno temutissimo in cui Alboino fece il suo ingresso in città. Stando a quanto racconta Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum, il re straniero aveva deciso di punire duramente la città che gli si era opposta così a lungo, passando a ferro e fuoco tutte le sue case. Ma non appena ebbe varcato le mura della città, il suo validissimo cavallo stramazzò a terra senza motivo: perfettamente sano, all’apparenza, eppure incapacitato a muoversi, quasi che una forza superiore stesse trattenendo i suoi zoccoli. Sgomento, uno degli uomini che scortavano Alboino mormorò al re che quello doveva necessariamente essere un segno celeste: con ogni evidenza, la città era popolata da veri cristiani, e Iddio desiderava che essi fossero risparmiati. Ingollando il boccone amaro, Alboino abbandonò tutti i suoi intenti di vendetta e promise clemenza ai cittadini pavesi: ed ecco, il suo cavallo ricominciò improvvisamente a muovere le gambe, rimettendosi in piedi senza esitazione. Alboino poté compiere così il suo ingresso in città e ricevere le delegazioni del popolo nel palazzo reale che era stato fatto edificare da Teodorico. Sciaguratamente, non ci figurano dolci a forma di colomba, in questa storia… ma ehi: chi l’ha detto che le leggende debbano essere vere, per piacere?
marinz
Speriamo davvero che la storia si ripeta.Grazie del passaggio da me e delle tue paroleun sorriso 🙂
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utente anonimo
un altro pane a forma di colomba… non che il vecchietto era ancora il buon San Colombano, vero?e se i due, legati da simbologia e magari parentela, fossero antenati delle sorelle Nurzia?e poi… la crescita costante della città raggiunge l'apice con te?(come ti contamino io le cose, è incredibile…)Diego
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Lucyette
Marinz: per Pavia, è stata di buon auspicio, insomma! Diego, muahahahaha… questa sì che è fantastoria: tecnicamente, San Colombano era già vivo all'epoca, in effetti :-DQuanto a me… oh, no: io non c'entro niente con Pavia, sono solo una umile immigrata! Io vengo dalle terre sabaude! u__uCredo che l'esempio più concreto della crescita culturale di Pavia possa essere identificato, piuttosto, con il protagonista di un recente fatto di cronaca (estate 2007). Sto parlando, ovviamente, del genio sregolato di quel signore, che… si è auto-sequestrato, per auto-chiedersi il riscatto. Il che, effettivamente, è piuttosto geniale come cosa…
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Ester05
Bello, bello! Perfetto per le sorelle Nurzia! Altro che cestini kitsch in pasta di sale! Ma che significa che "si è auto-sequestrato, per auto-chiedersi il riscatto"? A quale scopo???
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Lucyette
Ma che diamine ne so!!Questo qui aveva dei debiti piuttosto consistenti, e allora ha pensato bene di inscenare il suo proprio rapimento. Poi ha mandato un messaggio a casa sua, per chiedersi il riscatto O_oImmagino che fosse una questione di dignità personale, (per non dover ammettere di avere debiti), perché mi sembra l'unica spiegazione ragionevole…(Occielo: "ragionevole"…).(Mi pare che confidasse anche nell'aiuto economico di sua madre per raggiungere la cifra richiesta, se non ricordo male, ma ripeto: che differenza c'è fra estorcere i soldi a tua madre o chiederglieli perché ti serve aiuto, se non è per una questione di dignità personale)?Tutti matti, 'sti Pavesi…
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Ester05
Ahahah! Dovresti scriverci un post: è una storia di follia fantastica! Chissà se sarebbe arrivato al punto di auto-tagliarsi un pezzo d'orecchio da auto-mandarsi a casa???Scusa, questo è il mio lato macabro che balza fuori…
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Lucyette
Non so cosa volesse farne delle sue orecchie, ma ricordo che aveva deciso di stare senza cibo e acqua (se non in minimissime quantità) per tutto il tempo del falso sequestro, in modo da rendere più credibile la vicenda una volta liberato :-S
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utente anonimo
Eh, speriamo che il miracolo si ripeta :PDi quei giorni di un anno fa ricordo tanta tristezza, molta preoccupazione, grande tensione, catalessi davanti alle immagini in tv, stupore e anche giorni e giorni senza aprire libro… in un anno sono cambiate tante cose, speriamo però che ora molte altre cose comincino seriamente, la ricostruzione per esempio, il ripristino delle vecchie consuetudini, una vita più serena in una città dove non c'è più niente per l'intrattenimento, che pure serve, un sistema d'affitti più controllato, un'economia più solida. E' l'anno decisivo, non si torna indietro, ora o mai più.Daniele
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utente anonimo
grazie lucyette :))
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utente anonimo
ehm, dimenticavo la firma: artemisia comina
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utente anonimo
Ciao!
E' partito il Contest di Aprile de LA CUCINA ITALIANA: LA FOCACCIA!Partecipa anche tu ed invita i tuoi amici di blog.
Per info:
http://www.lacucinaitaliana.it/default.aspx?idPage=862&ID=337208&csuserid=2112&ar=
Scade il 10/05/10
Buon Lavoro!
La Redazione Online
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Lucyette
Daniele, mamma mia, sì… mi chiedo davvero quand'è che L'Aquila riuscirà a tornare alla normalità, io immagino ci vorranno anni…Artemisia, grazie a voi! Davvero!Redazione di Cucina Italiana: ossignur… :-PIo sono una fan sfegatata della focaccia, ma per l'appunto è molto meglio che mi tenga lontana dai fornelli per non rovinare il mio piatto preferito :-D(No, in realtà non cucino male, a ben vedere! Ma comunque… 😉
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