San Rocco di Montpellier e un nuovo modo di vivere una epidemia

Ah san Rocco, mio caro san Rocco! Diciamolo: siamo amici di infanzia, io e te – ho passato così tanto tempo sulle tue agiografie, quando ero all’università! Se non altro per la nostalgia che mi prende tutte le volte che penso alla mia Alma Universitas, è in effetti strano che abbia aspettato così a lungo prima di scrivere di te su queste pagine.

Ci volevano, evidentemente, una pandemia e lo sprone della mia “collaboratrice” per farmi rispolverare gli appunti di tempi lontani. Con questo post, prosegue infatti la collaborazione gastro-agiografica tra me e Michela di Mani di pasta frolla. Correte sul suo blog se volete immediatamente scoprire quale ricetta abbiamo deciso di proporvi, tra le molte che nei secoli sono state dedicate al santo di Montpellier. Scoprirete che è inconsueta, curiosissima e perfetta per l’estate!

Se invece non avete così tanta fame fretta e vi resta il tempo di approfondire la storia di san Rocco prima di mettervi ai fornelli, eccovi accontentati.
E buona lettura!

***

San Rocco, tanto per cominciare, è un santo strano: va detto subito.
Muore, non si capisce bene quando, nel corso del Trecento; eppure, la sua più antica biografia viene scritta solamente nel 1479. Dopo cento o centocinquant’anni dalla sua morte (anni durante i quali nessuno se l’era filato manco di striscio e apparentemente si era perso financo il ricordo della sua esistenza in vita), Rocco s’affaccia improvvisamente sul teatro della Storia… e da quel momento in poi, il suo culto non conosce pari. Nell’arco di pochissimi anni, il pellegrino appestato diventa uno dei santi più venerati di tutta la cristianità, con un pullulare di agiografie, preghiere, chiese e confraternite che gli vengono dedicate in ogni zona d’Europa.

Ma perché?
A parte il fatto di essere il santo da invocarsi contro le pestilenze in un momento in cui l’Europa è dilaniata dalle epidemie, quali sono gli elementi che hanno reso Rocco così prezioso agli occhi dei nostri antenati?
Si potrebbe dire che san Rocco era il santo giusto al momento giusto – ed era inoltre in grado di fornire risposte non scontate alle grandi domande che sorgono quando una tragedia si abbatte sulla popolazione.

Ma prima di vedere in che senso posso fare quest’affermazione, sarà il caso di riassumere a grandi linee la vita del nostro amico.

Nato da due genitori di ceto benestante, Rocco cresce a Montpellier, dove vien da pensare che abbia compiuto studi medici presso l’università locale. Infatti, un dettaglio curioso e singolarmente realistico che emerge dalle agiografie è che Rocco era solito curare gli appestati incidendo i loro bubboni con la “lancetta”: una tecnica che era stata sperimentata proprio dalla scuola medica di Montpellier e che non era ancora molto diffusa tra i chirurghi che si erano formati altrove.

Persi i genitori quando aveva circa vent’anni, Rocco decide di compiere un pellegrinaggio verso Roma. Il problema è che, non appena attraversate le Alpi, il nostro amico si imbatte in una epidemia di peste. In ognuna delle città in cui sosta, Rocco si mette a disposizione degli ospedali offrendo assistenza ai malati; incurante di essere potenzialmente un untore ambulante, il nostro amico arriva finalmente a Roma, dove guarisce miracolosamente un cardinale appestato col semplice gesto di tracciare un segno di croce sulla sua fronte. In virtù di ciò, ottiene il privilegio di incontrare in udienza privata il Santo Padre; dopodiché, felice di questo happy ending, Rocco si rimette in viaggio verso casa e vive per sempre felice e content

No.
Rocco si rimette in viaggio verso casa, ma, all’altezza di Piacenza, viene raggiunto da una voce celeste che lo preavvisa: “amico, mi spiace, ma mo’ la peste te la becchi anche tu”.
E infatti.
Per non correre il rischio di contagiare altre persone, Rocco si isola in un tugurio tradizionalmente individuato nella località di Sarmato. Sembrerebbe destinato a morire (se non altro di stenti, visto il suo stato di abbandono), se la Provvidenza non facesse sgorgare per lui una sorgente d’acqua e non mettesse sulla sua strada un… cagnolino.

Proprio così: un cagnolino che, imbattutosi in Rocco per ventura, lo sfama portandogli ogni giorno un tozzo di pane che ruba alla mensa del suo padrone, un certo Gottardo (che molti identificano in Gottardo Pallastrelli, personaggio storico realmente esistito e vivente nel castello di Sarmato).

Era solo questione di tempo prima che Gottardo si domandasse cosa caspita se ne facesse il suo cane di tutto ‘sto pane. Seguita la bestiola fino al tugurio dell’appestato, Gottardo fa conoscenza con san Rocco.
La prima reazione è perdere dieci anni di vita e scappare via come chi vede la Morte in faccia; la seconda reazione è ripensarci e sentirsi in dovere di offrire assistenza al malato. Col passar del tempo, nascerà tra i due una profonda amicizia che avvierà Gottardo sul cammino della santità.  

Operate a Piacenza altre guarigioni miracolose e riguadagnata egli stesso la salute, Rocco si mette finalmente in viaggio. Da questo momento in poi, la sua storia si fa meno dettagliata (e, francamente, meno interessante per lo storico), insistendo su aspetti stereotipati che si trovano in quasi tutte le agiografie quattrocentesche dei santi pellegrini. Accusato ingiustamente di essere una spia (non si capisce bene perché), Rocco viene incarcerato e costretto a una prigionia che durerà fino alla sua morte (avvenuta non si sa bene quando).
O meglio: le agiografie più antiche sono molto chiare nel dire che Rocco morì martedì 16 agosto 1327… sennonché nel ’27 non c’era la peste e il 16 agosto non cadeva di martedì. Quindi: boh.

Fatto sta che la vicenda terrena di san Rocco si conclude con un colpo di scena (si scoprirà che il santo era il nipote di quel governatore che lo aveva ingiustamente condannato al carcere) e, soprattutto, con un segno divino che ne attesta la santità in modo incontrovertibile. Accanto al corpo del santo ormai defunto, i carcerieri trovano una tavoletta sulla quale sono incise le sue generalità e le seguenti parole: “si quis habebit in devotionem passionen domini nostri Yhesu Christi et me Rochum, liber sit ab omni peste infirmitateque”.

Ovverosia: chiunque si affiderà a san Rocco si salverà dalla peste e dalle altre malattie.
Apriti cielo!
I cristiani avevano sempre avuto un vasto numero di santi da invocare in caso di malattia, e non scarseggiavano nemmeno i santi da invocarsi contro la peste. Nel 1887, padre Du Broc De Segange ne conterà ben cinquantatré, tra cui (per citare nomi noti) san Sebastiano, sant’Antonio abate, la Vergine, i Re Magi.
Però, va detto, nessuno di questi santi era mai stato “certificato” con apposito cartiglio celeste a comprovarne – come dire – “l’efficacia”.
E così, la devozione verso san Rocco scoppia con la stessa rapidità con cui divampa il fuoco; senza peraltro che le gerarchie ecclesiastiche abbiano profuso troppi sforzi nel pubblicizzarla in modo particolare. È una devozione che nasce dal basso, con una intensità da stupire persino la Mariegola della Scuola Grande di San Rocco a Venezia, che a inizio Cinquecento si diceva attonita nel constatare il modo in cui la devozione era “penetrata tanto nel intelletto et viscere de cadauno” nell’arco di così pochi anni, mentre “prima non era memoria alguna de tal glorioso Santo”.

Ma perché tutto questo successo?
Perché, come dicevo in apertura, san Rocco era il santo giusto al momento giusto, la cui testimonianza era in grado di fornire risposte non scontate alle grandi domande che sempre ci colgono quando si abbatte su di noi una epidemia.

Ad esempio:

1) La peste non è un flagello che Dio manda per punire i peccatori

Ce l’abbiamo, un po’, questo preconcetto, riguardo al modo in cui gli uomini del passato guardavano alle epidemie. O no?
Sarebbe decisamente riduttivo dire che i nostri antenati ritenevano le pestilenze un flagello di Dio scagliato sulla terra per punire i peccatori. In realtà, le posizioni dei teologici erano variegate e tendenzialmente più sfumate… ma diciamo pure che la tendenza era quella. In molti casi, davvero si tendeva a pensare che il contagio fosse un dardo lanciato da Dio per colpire il peccatore che si era meritato il suo giusto sdegno.
“Dio proteggerà i suoi servi più fedeli preservandoli dalla malattia!”, tendeva a pensare il popolino (con risultato che, quando avvertivi i primi sintomi, ti sentivi pure cornuto e mazziato: non solo ti sei beccato la peste, ma ciò vuol dire che Dio ce l’ha con te).

Ecco, no. Proprio no.
“Proprio no” perché san Rocco è il caso emblematico di un santo che si contagia.
Contagiandosi, peraltro, quando è già santo (Dio aveva già operato miracoli per sua mano) e contagiandosi in modo del tutto casuale (era da mesi andava in giro a soccorrere gli appestati senza che gli succedesse niente: il fatto di essersi beccato la malattia sembra dettato dal fattore jella molto più di quanto non sia dettato dal fattore martirio).

Rocco è un santo, Rocco è caro a Dio, eppure Rocco si ammala. Può succedere a lui, come può succedere al prete che legge, come può succedere a chiunque. Mi rendo conto che questo dettaglio possa sembrare di poco conto per la mentalità del cristiano-medio oggi, ma per gli uomini del Quattrocento fu una notizia dalla portata dirompente.

Al di là di ogni ragionevole dubbio, la vita di san Rocco dimostrava che gli appestati non se l’erano meritata; non se l’erano andata a cercare.
Si ammalano anche i migliori santi, e certamente la peste non è un castigo.

Quale sollievo enorme, per un appestato medievale che aveva appena avvertito i primi sintomi.

2) La peste non sfugge al controllo di Dio

Assodato che non è Dio a mandare la peste per punire i peccatori, resta il grande e inquietante interrogativo: ma allora, chi la manda e perché?
Sgomberato il campo dall’ipotesi “flagello divino”, si affacciavano alternative francamente allarmanti. Se la peste non è il castigo celeste, sarà mica un tormento di Satana?
Se Dio non preserva dal contagio manco i santi, vorrà mica dire che l’epidemia è un qualcosa che esula dai suoi progetti, o peggio ancora dalle sue possibilità di intervento? Gli sarà mica sfuggita di mano, sarà mica una interferenza di malefiche forze?

Ecco, no.
La storia di san Rocco ci dice di no.
Rocco ci insegna che l’Onnipotente conosce perfettamente l’identità di chi sarà colpito e che nulla si compie al di fuori del progetto celeste. E infatti, lo stesso Rocco, poco prima di ammalarsi, sarà avvisato da una voce angelica che lo prepara alle sofferenze imminenti.

Del resto, per tramite di san Rocco, Dio opera più volte miracoli di guarigione. Dunque, l’Onnipotente è perfettamente in grado di invertire il corso della malattia ogni qualvolta lo ritenga opportuno nel suo imperscrutabile giudizio.

Ma allora, la preghiera dell’appestato non è inutile!
Il cristiano può e deve pregare Dio con devozione, implorando la grazia della guarigione (…o pregando direttamente per esser risparmiato dal contagio, perché no?). Dio deciderà, nella sua sapienza, se esaudire o no queste preghiere – ma qualunque sia la sua decisione, essa farà pienamente parte del suo progetto.

3) È perfettamente normale aver paura

Mi è sempre piaciuta molto la figura di Gottardo, il proprietario del cagnolino diventato amico di san Rocco. Nel momento in cui, inseguendo la bestiola, si trova faccia a faccia con l’appestato, il povero Gottardo perde dieci anni di vita e scappa via di gran carriera, giustamente terrorizzato all’idea di potersi contagiare. Poi ritorna sul posto, spia Rocco di lontano (quindi non è disinteressato alla sua sorte: ha semplicemente paura del contagio!); secondo alcune agiografie, si deciderà ad avvicinarsi solo quando vedrà il cagnolino inginocchiarsi di fronte al malato, intuendo dunque di essere testimone di un evento straordinario grazie al quale Dio vuole parlargli.

La cosa molto confortante per il lettore è che nessun agiografo si è mai sognato di stigmatizzare i timori di Gottardo (che, fra l’altro, è a sua volta venerato come santo dalla Chiesa piacentina).
Come commenta la storica dell’arte Louise Marshall, autrice di uno studio sull’iconografia di san Rocco, “l’incontro di Gottardo con Rocco sofferente fornisce un modello al devoto rinascimentale: l’uno e gli altri, insieme, si avvicinano al Santo e sono incantati dalla sua forza”.

San Gottardo è tutti noi, sembra dirci l’agiografia. Aggiungendo che – sebbene l’eroismo sia sempre una bella cosa – non è necessario essere eroici nel mezzo di una epidemia per potersi guadagnare il Paradiso.
Quanto confortante realismo terra-a-terra, per gli occhi di un uomo terrorizzato dalla Morte Nera.

4) La malattia, vissuta santamente, può avvicinare a Cristo

Un’altra cosa molto realistica delle agiografia di san Rocco è che non hanno la tendenza a indorare la pillola. Lo dicono tutte molto chiaramente: beccarsi la peste fa schifo, provoca dolori che non augureremmo nemmeno al nostro peggior nemico e crea problemi logistici non da poco (Rocco, chiuso nella sua quarantena, sarebbe probabilmente morto di stenti se non fosse stato per quel provvido cagnolino).
Se le Vite di altri santi affrontano la malattia con descrizioni molto liriche basate su frasi tipo “il mio giogo è dolce”, il giogo di san Rocco ha l’aria di essere piuttosto scomodo. Eppure, è salvifico.

Si nota un dettaglio curioso, scorrendo molte delle agiografie di san Rocco. Veniamo cioè informati che il poveraccio soffriva orribilmente da mane a sera, ma i dolori si intensificavano dall’ora terza all’ora nona. E, del resto, è Dio stesso a tracciare (su quel famoso cartiglio rinvenuto accanto al corpo del santo) un audace parallelismo tra la passione di Cristo e la passione del santo.

Presentato al lettore come un vero e proprio alter Christus, l’appestato – grazie alla sua malattia – ha la possibilità di compartecipare alle sofferenze di Cristo in croce. Vivo o morto, il contagiato uscirà trasformato dall’esperienza della malattia: il dolore lo renderà più ricco, più elevato spiritualmente.

Un magro conforto per un poveraccio che sta patendo le pene dell’Inferno… o forse, un enorme conforto per chi ha la speranza di starsi guadagnando il Paradiso così facendo.

5) In generale: accettare con serenità le ingiuste sofferenze è sempre la miglior via per la santità

Gli storici tendono a snobbare la seconda parte della Vita di san Rocco – quella in cui, finita l’epidemia, il nostro beniamino si trova alle prese coi problemi legali.
In effetti sono pagine non molto interessanti, se non per le riflessioni spirituali che se ne possono trarre. San Rocco, infatti, affronta questa nuova prova con lo stesso atteggiamento di fiducioso abbandono alla volontà celeste che aveva già messo in atto durante l’esperienza “ingiusta” della malattia.

A me, personalmente, è sempre piaciuto un sacco il parallelismo tra la sofferenza immeritata della persecuzione giudiziaria e la sofferenza immeritata di una catastrofe che ti piove addosso. Le cronache medievali, da Paolo Diacono in poi, tendono a dipingere le pestilenze come un periodo totalmente extra-ordinario in cui si sovverte il normale ordine delle cose, vengono meno i principi-base del vivere civile e la popolazione sprofonda in un incubo surreale. La vita di san Rocco sembra invece insegnare ai fedeli che la pestilenza non deve essere la sospensione di tutto ciò che è normale, ma uno dei tanti eventi che arricchiscono l’esperienza di vita di una persona, temprandola e modificando il suo modo di vivere le avversità e di vedere il mondo. Insomma, non un’esperienza extra-ordinaria da chiudere all’interno di una parentesi, ma semmai uno dei tanti punti che compongono la linea ininterrotta della sua vita.

Francamente, non so dire se questo dettaglio piaccia a me in modo particolare o se abbia affascinato con pari intensità anche i nostri antenati. Sicuramente, le agiografie ci tengono a sottolinearlo. E se fossi un’agiografa probabilmente lo sottolineerei anch’io, in questa strana e indimenticabile festa di san Rocco dell’anno Domini 2020.

9 risposte a "San Rocco di Montpellier e un nuovo modo di vivere una epidemia"

  1. Lucia

    (Per chi volesse un po’ di bibliografia, la mia fonte principale è una tesina scritta da me medesima ai tempi dell’università 😆 che si basava largamente sui contributi confluiti in: San Rocco. Genesi e prima espansione di un culto: Incontro di studio. Padova 12-13 febbraio 2004)

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  2. Nihil Alieno

    Conosci il Premio Internazionale Fedeltà del Cane di S. Rocco di Camogli? Ogni anno vengono premiati i cani che hanno manifestato particolare fedeltà o hanno salvato vite umane. 🙂

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  3. blogdibarbara

    OT (ma bisogna che lo dica lo stesso)
    1. Che bello trovare ogni tanto qualcuno che sa che si chiama happy ending e non happy end!
    2. L’episodio di Bernardo che scappa e poi torna indietro mi ricorda un episodio avvenuto quando si è scatenato il terremoto del Friuli, nel maggio del ’76. Il terremoto è stato fortissimo anche a Padova, talmente forte che, essendo in Friuli tutto distrutto per cui da lì non arrivava nessuna notizia fino a quando non sono riusciti a organizzarsi i radioamatori, le prime notizie avevano dato Padova come epicentro. Mia madre era all’ospedale, al sesto piano, e lì c’erano addirittura i letti che correvano da una parte all’altra. Un medico stava facendo un’endovenosa a una donna che era stata operata la mattina, e nel momento in cui tutto ha cominciato a ballare e saltare, senza neanche rendersi conto di quello che faceva ha mollato tutto, la donna con la siringa infilata nel braccio e si è messo a correre come un pazzo. Arrivato a metà corridoio è rinsavito e, mentre tutto continuava a ballargli sotto i piedi, è tornato indietro, ha finito l’endovenosa ed è rimasto vicino alla donna fino a quando non si è completamente tranquillizzata.

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  5. marinz

    io sono cresciuto con San Rocco essendo il patrono del paese natale di mio padre, nella bassa mantovana.
    Ancora oggi si festeggia e si benedice il pane da portare a casa.
    Forse anche per questa “vicinanza” che ho sempre il desiderio di mettere lo zaino in spalla e partire.
    L’anno prossimo è Anno Giacobeo spero di riuscire a tornare a Santiago, magari facendo il portoghese.
    Un sorriso 🙂

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