No, i druidi non facevano sacrifici umani nella notte di Samhain

La vivace e vibrante risposta con cui è stata accolta sui social network la serie di articoli a tema Halloween che in questi giorni ho scritto per Aleteia mi ha donato l’imperdibile occasione di scoprire una vasta gamma di fake news a tema, che francamente non conoscevo.

Una, in particolar modo, ha attirato la mia attenzione: apparentemente, secondo alcuni, la pratica del trick or treating sarebbe l’eco di un’antica tradizione druidica secondo cui, nei giorni precedenti la festa di Samhain, i sacerdoti celti passavano di casa in casa con la sinistra richiesta “sacrificio o maledizione?”. Per ingraziarsi la benevolenza di un certo Cromm Cruach, dio pagano della fertilità, gli inermi Irlandesi erano costretti a sacrificare all’idolo tutti i loro primogeniti, nella speranza di ricevere in cambio messi abbondanti messi e ricche mungiture.

Mettiamola così: scoprire questa storia è stato affascinante.
Cercare riscontro su Google e realizzare che, in effetti, viene riproposta da molti siti Internet afferenti al mondo del fondamentalismo cristiano-protestante: è stato ancor più affascinante.
Fare qualche ricerca e scoprire la genesi della fake news è stato affascinante al massimo grado – anche perché la storia non è totalmente falsa. O meglio: è totalmente falsa dal punto di vista storico, ovviamente, ma trova effettivamente addentellato in un paio di oscuri poemi irlandesi del XII secolo.

Capite bene che una bufala su Halloween scaturita dalla cattiva interpretazione di testi medievali semisconosciuti sembra essere stata messa in giro apposta per sollecitare un debunking da parte mia. E infatti, eccomi qui.

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Innanzi tutto: quali sono i testi medievali di cui stiamo parlando?

Con ogni evidenza, la principale fonte di ispirazione sono le Dindsenchas: più che un’unica opera, un genere letterario sviluppatosi sull’isola a partire dall’XI secolo sotto forma di raccolte di leggende legate ai vari luoghi dell’Irlanda. Ne esistono decine e decine di redazioni diverse: in versi, in prosa, interpolate dagli amanuensi; talvolta, accorciate per raccogliere solo le leggende relative a una specifica zona dell’Irlanda. Ma, nonostante le mille varianti, in quasi tutte le dindsenchas c’è una leggenda agghiacciante che ritorna: quella che descrive gli orribili sacrifici umani che in epoche precristiane sarebbero stati praticati nella zona di Magh Slécht, nell’ordierna contea di Cavan.

Stando a quanto si legge, nella piana di Magh Slécht era stato eretto un gigantesco idolo d’oro dedicato al dio Crom Cróich (di cui, per la cronaca, non sappiamo assolutamente nulla a parte il fatto che probabilmente è esistito per davvero). A questo idolo malvagio, la cui espressione minacciosa e il cui viso rugoso erano quasi perennemente nascosti da una misteriosa nebbiolina che avvolgeva la statua da mane a sera, le popolazioni locali (stando alle dindsenchas) erano solite immolare in sacrificio i primi frutti della raccolta e i primi nati del loro bestiame (le mogli, giusto per capirci, non contavano come bestiame). Le leggende non spiegano in quale momento dell’anno avvenisse questo sacrificio: poco ma sicuro, il 31 ottobre non sembra esattamente il tipico momento in cui v’è abbondanza di primizie di stagione e di agnellini appena nati. In compenso, le dindsenchas dicono che, nella notte in cui aveva luogo il sacrificio, le popolazioni locali erano costrette a venerare l’idolo prostrandosi davanti a lui, a ripetizione e senza sosta, per tutta la durata della notte: genuflessione dopo genuflessione, a forza di inginocchiarsi e poi rialzarsi, mediamente i tre quarti dei presenti morivano di fatica prima che sorgessero le prime luci del sole (ellamiseria); donde, il nome con cui la zona passò alla storia: Magh Slécht, ovverosia la Piana delle Prostrazioni.

In un’altra versione, piuttosto tarda, la storia già di per sé inquietante si arricchisce di un altro dettaglio: il perfido idolo dorato di Magh Slécht, che in questo caso viene citato col nome di Crom Cruiach, non s’accontentava del primo nato di tutti gli animali d’allevamento, ma reclamava anche il sacrificio dei primogeniti degli esseri umani. In questa mattanza, durante la quale ogni anno perdeva la vita l’inverosimile quantità di un terzo (!) dei bambini irlandesi, il sangue delle vittime veniva versato sull’altare con la preghiera di ottenere in cambio ricchi raccolti e di mungiture abbondanti. Stando a quando dice la storiella, fu san Patrizio a mettere fine a queste atrocità, distruggendo fisicamente l’idolo dorato e le dodici statue in bronzo delle divinità minori che, in questa versione del racconto, gli stavano tutt’intorno. Il cristianesimo pose dunque fine all’età delle barbarie, e l’Irlanda poté tornare a rifiorire ancora.

Ok: ma è vera, questa storia?
Ovviamente no.

È certamente probabile che nella piana di Magh Slécht esistesse un luogo di culto precristiano, e alcuni ritrovamenti archeologici effettuati nella stessa regione permettono di ipotizzare che una qualche divinità dal nome di Crom Cróich fosse realmente venerata dagli Irlandesi, con modalità che non conosciamo.
Ma l’aneddoto di san Patrizio che pone fine a questa angosciante strage degli innocenti è indubitabilmente di matrice leggendaria; e dico ciò per una valida ragione: nessuna delle agiografie cita questa storia. Semmai, la Vita Tripartita di san Patrizio, scritta in un momento imprecisato tra l’VIII e l’XI secolo (e comunque considerata dagli agiologi un testo dalla forte componente leggendaria) parla di come il santo si recò nella piana di Magh Slécht per distruggere le statue degli idoli pagani; ma il testo non allude in alcun modo a sacrifici umani compiuti in quel luogo, o altrove. Né men che meno ci parlano di queste pratiche gli scritti di san Patrizio o dei molti altri monaci che, assieme a lui, evangelizzarono l’Irlanda.

Insomma: l’unica fonte a parlare di sacrifici umani è una singola raccolta di dindsenchas, peraltro tarda, e comunque da considerare per quello che oggettivamente è: un testo letterario che raccoglie leggende. Jacqueline Borsje, storica della magia specializzata nello studio del folklore irlandese, ha peraltro avuto modo di notare che il mito dell’idolo crudele della piana di Magh Slécht sembrerebbe aver preso forma grazie alla rielaborazione di elementi già presenti in testi di ispirazione cristiana. Ovverosia, l’adorazione del vitello d’oro citata nell’Antico Testamento; la distruzione degli idoli pagani attribuita a san Patrizio; l’orribile topos del sacrificio umano di neonati, con i suoi richiami veterotestamentari ed evangelici. Ma è chiaro che questo testo non vada considerato come una testimonianza storica; se non, al limite, una testimonianza storica del modo in cui gli Irlandesi tardomedievali guardavano al loro passato.

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Non a caso, il tema dei presunti sacrifici umani tornò in auge quando gli Irlandesi vittoriani cominciarono a guardare al loro passato con un certo orgoglio, desiderosi di affrancarsi da quella visione che per troppo tempo aveva dipinto i loro antenati come una banda di barbari stragisti e sanguinari. A partire dal 1873, numerosi storici irlandesi iniziarono a dare alle stampe una vasta serie di studi finalizzata a liberare i druidi dalla sinistra fama che li accompagnava: uno degli esponenti di spicco di questa corrente fu Patrick Weston Joyce, che nei suoi studi arrivò addirittura a negare in modo assoluto la possibilità in Irlanda fossero mai stati celebrati sacrifici umani.

Un’affermazione un po’ avventata, perché alcuni ritrovamenti archeologici fanno effettivamente pensare alla possibilità che sacrifici umani venissero realmente praticati, di tanto in tanto. Per esempio, il fatto che, in una fossa comune ai piedi della collina di Tara, siano stati rinvenuti contemporaneamente resti animali e scheletri umani ci spinge a ipotizzare d’essere di fronte a creature che furono uccise in un contesto rituale; e se dall’Irlanda ci spostiamo all’Inghilterra (in ogni caso, sempre terra di druidi), abbiamo l’esempio dell’Uomo di Lindow, una mummia di palude che nel 1984 fu rinvenuta a sud di Manchester. Qualunque fosse la storia di quel poveraccio, certo è che il tapino andò incontro a una morte singolarmente sanguinaria: o era finito nelle mani di uno psicopatico molto sadico, o era stato ucciso nell’ambito di un qualche sacrificio rituale ad alto tasso splatter.

Ma se Patrick Weston Joyce ebbe troppa fretta nel negare anche solo la possibilità che i druidi praticassero sacrifici, fu comunque in grado di alimentare il dibattito grazie ad altro tipo osservazioni, puntuali e inappuntabili. Non a torto, lo storico fece notare per esempio che gli Irlandesi del XII secolo dovevano aver sviluppato una singolare ossessione per la tematica del sacrificio umano, considerato il fatto che la infilavano praticamente ovunque (“così: de botto, senza senso”, per citare Boris). L’esempio eclatante è sicuramente quello del povero sant’Oran: che (a dar retta agli scritti di un agiografo evidentemente poco lucido) accettò volontariamente di farsi seppellire vivo nelle fondamenta di un monastero che i suoi confratelli stavano cercando di costruire sull’isola di Iona.

A quanto pare, un destino cinico e baro continuava a far crollare le mura che via via venivano erette; quand’ecco che una notte san Columba sentì una voce che lo informò del fatto che i lavori di costruzione non sarebbero mai stati portati a termine a meno che un coraggioso volontario non avesse accettato di immolare la sua vita a beneficio dei molti, facendosi appunto murare vivo.
Un agiografo sano di mente, a questo punto, avrebbe mostrato san Columba nell’atto di smascherare il vile inganno demoniaco: ma l’agiografo che compose questo testo del XII secolo doveva evidentemente aver bevuto prima di mettersi allo scrittoio, perché ritenne una buona idea proseguire con nonchalance descrivendo la riunione plenaria durante la quale il monaco convocò tutti i confratelli e chiese loro se, cortesemente, ci fosse per caso qualche volontario. Un derelitto di nome Oran si fece coraggiosamente avanti e fu prontamente seppellito vivo tra le ovazioni popolari. Il monastero di Iona fu costruito e passò alla storia; sant’Oran viene festeggiato ancor oggi il 27 ottobre; quanto a san Columba, è uno dei più celebri santi d’Irlanda. E Patrick Weston Joyce ebbe buon gioco nell’osservare che, a meno che non si voglia utilizzare quest’unica fonte per affermare che i sacrifici umani erano una pratica frequente nell’ambito del monachesimo irlandese, la stessa cautela dovrebbe essere utilizzata anche da quegli storici che, basandosi su un’unica fonte, ritengono di poter fare la stessa affermazione riguardo i druidi.

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Le affermazioni di Patrick Weston Joyce e degli altri storici della sua scuola suscitarono un certo dibattito a livello internazionale: non a torto, alcuni osservarono che certi studi sembravano esser stati scritti con un taglio apertamente apologetico. In questo contesto, molti dei non addetti ai lavori citarono il Leabhar Gabhála Éireann, un testo medievale del XII secolo che, effettivamente, dipingeva i sacrifici umani come una pratica dolorosamente frequente nell’Irlanda delle origini: esisteva una popolazione che, con regolarità, uccideva centinaia di innocenti nella notte di Samhain (e badate bene: è la prima volta che il 31 ottobre viene citato in questo contesto).
Questo popolo crudele, stanziatosi in una zona dell’Irlanda in cui già abitava un clan pacifico, pretendeva annualmente un cruento tributo consistente nei due terzi dei nuovi nati dell’etnia che aveva sottomesso. Una tragica storia, che andrebbe però accompagnata da un dettaglio non del tutto irrilevante: stiamo parlando di popoli fatati. O comunque mitologici se preferiamo usare questo termine. I cattivoni della situazione erano i perfidi Fomori, che tenevano sotto scatto i deboli Nemediani: non stiamo parlando di esseri umani, ma di popolazioni leggendarie che, secondo il mito, avevano abitato l’Irlanda in età preistoriche.

E sotto questo punto di vista, è indubbiamente vero che le fate avevano la spiacevolissima abitudine di compiere sacrifici umani nella notte di Samhain: quella in cui si solleva il sottile velo che separa il nostro mondo dal regno degli elfi. Un diffuso topos letterario, assai popolare tra tardo medioevo e prima età moderna, parlava appunto di come le fate fossero costrette a sacrificare annualmente a Satana un essere umano nella notte del 31 ottobre; e quando non era un ricatto demoniaco a costringerle all’efferato gesto, erano loro stesse a dar sfogo alla loro sete di sangue uccidendo tutti i malcapitati che capitavano loro a tiro (donde, il comprensibile clima di paura che finì con l’appiccicarsi alla notte di Halloween).

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Dunque, abbiamo capito che è bene diffidare dalle fate.
Ma in definitiva, questi druidi che facevano? Compivano sacrifici umani per davvero, oppure no?

Quasi certamente non lo facevano in occasione della notte di Samhain: per la tipologia di festeggiamenti che venivano posti in essere in quel giorno (sostanzialmente, un grande capodanno agrario con abbondanti libagioni) vien da pensare semmai che a essere immolato potesse essere il bestiame (ammesso e non concesso che in quel contesto si tenessero sacrifici rituali: in realtà, non ne abbiamo prove).

Il fatto gli è che i druidi non vollero usarci la cortesia di lasciare testimonianze scritte sulle loro attività: sicché, tutto ciò che sappiamo su di loro deriva da fonti di seconda mano, tendenzialmente composte da gente che non li aveva in gran simpatia. Indubbiamente, alcuni autori romani (tra cui Giulio Cesare, Diodoro e Strabone) parlano di rituali cruenti praticati dai druidi, descrivendo tra le altre cose l’orribile Wicker Man: una gigantesca struttura antropomorfa fatta di vimini nella quale venivano imprigionate le vittime sacrificali, destinate ad andare incontro a una orribile morte sul rogo nel momento in cui i druidi avessero dato fuoco alla loro prigione.

Ma è davvero possibile che sia esistita una roba simile?
Gli storici romani ce la descrivono come cosa vera, ma andrebbe anche detto che questi galantuomini non avevano mai visto un druido irlandese in vita loro: nemmeno Giulio Cesare, che sicuramente conobbe i Galli, ebbe modo di visionare personalmente le tradizioni dei popoli che vivevano più a nord. Insomma: parlavano per sentito dire, riferendosi a popolazioni barbariche che speravano di poter sottomettere e colonizzare; ed è interessante rilevare che, all’opposto, di sacrifici umani non si fa menzione negli scritti dei missionari cristiani che, evangelizzando le isole britanniche, ebbero un reale contatto con la popolazione locale. Dei druidi, i missionari dissero peste e corna, dipingendoli come individui spietati e gretti: ma mai si spinsero a parlare di sacrifici umani, né tantomeno di masse di innocenti bruciati vivi all’interno di un fantoccio dalle sembianze umane (…mettiamola così: non esattamente quel tipo di dettaglio su cui un evangelizzatore dei primi secoli sarebbe stato disposto a soprassedere).

Dobbiamo immaginare che i romani esagerassero, attribuendo ai popoli barbarici atrocità che non erano mai state commesse?
O forse, i druidi avevano realmente compiuto questi riti in tempi antichi, ma avevano già spontaneamente abbandonato queste pratiche nel momento in cui gli evangelizzatori giunsero in Irlanda?

Da un lato, abbiamo già citato le fonti archeologiche che fanno effettivamente sospettare l’esistenza di sacrifici umani realmente praticati (anche se la rarità di questi ritrovamenti indurrebbe a pensare a pratiche isolate, forse legate a specifici bisogni, più che a una ritualità che veniva portata avanti con regolarità di anno in anno). Dall’altro lato, certo è che nessuna delle fonti in nostro possesso (nemmeno quelle di matrice letteraria) ci parla di sacrifici umani compiuti dai druidi nella notte di Samhain. Ad ammazzare uomini il 31 ottobre erano le fate, ma direi che quello è un altro discorso.

Morale della favola?
Se domani sera, tornando a casa dal lavoro, vi trovate di fronte a una fata che vi rincorre con un coltellaccio: in effetti la vedo brutta. Scappate via fortissimo.
Se invece vedete di lontano un druido che si sta facendo i fatti suoi: andate sereni. Con buone probabilità, il simpatico ometto non ha minima intenzione di danneggiarvi; quantomeno, non nella notte del 31 ottobre.


Per approfondire:

  • Ronald Hutton, Blood & Mistletoe. The History of Druids in Britain (Yale University Press, 2009)
  • Jacqueline Borsje, ‘Human Sacrifice in Medieval Irish Literature’, in The Strange World of Human Sacrifice a cura di J.N. Bremmer (Peeters, 2017)
  • Nicholas Rogers, Halloween. From Pagan Ritual to Party Night (Oxford University Press, 2002)

2 risposte a "No, i druidi non facevano sacrifici umani nella notte di Samhain"

  1. Elena

    Molto interessante, in gioventù ho letto parecchio sui celti, sui druidi e anche sulla letteratura legata al ciclo arturiano, per cui ogni approfondimento mi fa molto piacere!
    Domanda off topic: quanto tempo occorre per scrivere un post di questo tipo ? Contando anche il tempo per documentarsi…
    Immagino che per altri argomenti sia più semplice, magari nel tuo lavoro studi qualcosa e poi decidi di scriverci un pezzo…

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  2. Pingback: Origini del neopaganesimo – Multibazar

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