Nell’anno del Signore 1495, addì 4 dicembre, l’acqua del Tevere era così alta da lambire il ponte di Castel sant’Angelo; al punto tale che i cardinali che s’erano radunati nell’edificio di prima mattina, per una riunione di lavoro, furono costretti a sfollare attorno a mezzogiorno per non correre il rischio di rimanere bloccati dall’alluvione. E molti di loro, attraversando in gran carriera il ponte di Sant’Angelo, si bagnarono i piedi o rischiarono brutti ruzzoloni, visto che l’acqua del fiume era già arrivata a coprire il piano di calpestio!
Nella notte tra il 4 e il 5 dicembre, il Tevere raggiunse un livello di 16,88 metri sull’idrometro di Ripetta: fu una delle alluvioni più disastrose della storia di Roma, che danneggiò significativamente una buona fetta della popolazione e provocò danni consistenti a chiese, strade e abitazioni private. Ma, come dice il proverbio, il peggio doveva ancora arrivare. Quando le acque finalmente si ritirarono e i Romani poterono fare ritorno nelle loro case iniziando una mesta conta dei danni, una macabra scoperta si mostrò agli occhi di un gruppo di ragazzi che stavano percorrendo il greto del Tevere nel tratto compreso tra Castel sant’Angelo e Tor di Nona. La piena, ritirandosi, aveva lasciato dietro di sé un inquietante omaggio per la Città Santa: adagiato sul fango, se ne stava un essere mostruoso che i cronisti d’epoca descrissero in questi termini:
havea la testa d’asino e ’l corpo di femina, culla mammilla, e ’l pede destro di femina, ’l sinistro d’aquila, el brazzo destro de femina e ’l sinistro de urso, per lo quale tutto Roma se n’impagorio, et anco l’Italia, perche havea deretro una testa d’uomo vecchio, et alle natiche nude essia un capo di serpente.
Naturalmente, se volessimo prendere per buona questa notizia, saremmo innanzi tutto tentati di chiederci che cosa fosse davvero questo accrocco di bestie strane posatosi sul greto del Tevere come relitto alluvionale. (Magari, un tronco dalla forma strana? Oppure la carcassa di un povero asinello che era stata consumata dalle acque al punto tale da essere quasi irriconoscibile?).
Ma in realtà non è questa la domanda giusta da farsi, se vogliamo analizzare la questione dal punto di vista del folklorista: ammesso e non concesso che davvero qualcuno abbia rinvenuto un arnese che fu poi descritto come abbiamo letto sopra, a ben poco ci gioverà farci domande sulla sua reale natura. Operiamo, per amor di discussione, una sospensione del giudizio e prendiamo per buona l’intera storia: mettiamoci nei panni di quei Romani sgomenti che, traumatizzati da quell’alluvione di cui erano reduci, cominciarono a sentirsi raccontare che ‘sto accrocco strano di bestie varie era stato rinvenuto a pochi passi da San Pietro.
Naturalmente, non poteva essere un caso. Davvero il Medioevo era un’epoca piena di meraviglie, come scrivono a buon diritto molti autori; o, per meglio dire, era pieno di meraviglia l’occhio con cui gli uomini del tempo guardavano agli eventi del mondo circostante, ben consci di come Iddio avesse l’abitudine di parlare ai suoi figli “per speculum et in aenigmate”. V’era la diffusa e fermissima convinzione che tutti quegli eventi che sembravano sfuggire alle normali leggi di natura fossero i modi che Iddio aveva scelto per comunicare con gli uomini; e se pure capitava (di tanto in tanto, senza esagerare) che questi segni divini contenessero messaggi di speranza, in genere non c’era di che stare troppo allegri quando il Cielo si scomodava per mandare questi indizi: quasi sempre, stavano a indicare il giusto sdegno di Dio. E così, lungo tutto il corso del Medioevo, i cataclismi, i terremoti, gli eventi inspiegabili e le apparizioni mostruose (come, per esempio, la nascita di gemelli siamesi o di neonati gravemente deformi) furono visti come messaggi, segni, indizi; di cui non restava che cogliere il significato.
Nel caso specifico del mostro asinino rinvenuto a Roma dopo la piena del Tevere, i cittadini dell’Urbe non ebbero dubbi: lo intesero come un monito con cui l’Onnipotente cercava di rimettere sulla retta via una città gravata da mille mali e mille vizi. E questa fu, per un paio d’anni, la lettura “ufficiale” che venne data all’evento (che cominciò del resto a essere citato da più fonti, anche esterne alla città di Roma); ma tutto cambiò nei primi mesi del 1498, quando Luca di Praga, fondatore del movimento ereticale dei Fratelli Boemi, soggiornò a Roma per qualche tempo per discutere di teologia con la comunità valdese della città. Tra una conversazione e l’altra, il predicatore ceco venne a conoscenza di quel mostruoso avvistamento e non ebbe esitazione alcuna nel dare al fenomeno la sua propria interpretazione: senza dubbio, quell’essere mostruoso era segno dello sdegno celeste, ma lo sdegno celeste non era indirizzato a Roma in generale. Era indirizzato verso colui che la governava, cioè il papa, indegno rappresentante di Cristo in terra!
Tornando in Germania dopo il suo soggiorno italiano, Luca di Praga si mise in contatto con Werner von Olmutz, incisore di professione, e gli commissionò la creazione di un disegno che desse conto di quella mostruosa apparizione. L’immagine, data alle stampe con altissima tiratura, era accompagnata dal titolo eloquente di Papst-esel, ovverosia “papa asino”: l’essere mostruoso rinvenuto sul greto del Tevere, insomma, veniva presentato come un segno del modo in cui Dio vedeva veramente l’uomo che indegnamente sedeva sul soglio di Pietro: un asino ignorante, rapace, sessualizzato, con un secondo volto serpentino (e dunque una seconda mente, infida come quella di una vipera) che spuntava nelle pudenda, lasciandosi governare dai bassi istinti.
‘nsomma: la versione tardomedievale del nostro “testa di c…”.
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Gli anni a cavallo tra il XV e il XVI secolo furono terreno fertile per la critica all’autorità papale. Poco più di quindici anni dopo quella mostruosa apparizione, Martin Lutero prese posizione contro la Chiesa di Roma (…”io l’avevo detto, che sarebbero arrivate rogne!”, commentarono probabilmente alcuni dei laziali che avevano assistito sgomenti al ritrovamento di quell’ibrido). E, per ovvie ragioni, l’immagine di un papa-mostro che governa la Chiesa con ignoranza asinina e con bestialità feroce parve a Martin Lutero un ottimo strumento di propaganda contro le gerarchie di Roma. Nel 1523, il riformatore affidò allo scrittore Filippo Melantone e all’incisore Lucas Cranach la stesura di un opuscoletto titolato Deuttung der czwo grewlichen Figuren, in cui dava conto di questa sinistra apparizione (e di quella, non meno inquietante, di un monaco-vitello, verificatasi di lì a poco).
In questo caso, Martin Lutero non si limitava a descrivere i fatti; tentava anche di offrire ai suoi lettori una possibile esegesi di tutto ciò che Dio aveva realmente voluto dire facendo materializzare in terra quel mostro inquietante. La testa d’asino del Papstesel sottolineava ovviamente l’ignoranza goduta in cui viveva la curia romana; il ventre pieno e rigonfio del mostro denotava l’ingordigia del sommo pontefice, ghiotto di cibo e di piaceri carnali così come di denaro, che sottraeva ai fedeli con false promesse di grazie ultraterrene. Le zampe ferine del mostro (in questa stampa, leggermente modificate rispetto a quanto avevano descritto i primi cronisti) simboleggiavano la ferocia con cui il papa schiacciava i deboli e i dissidenti, riuscendo però a contare sul solido appoggio di strutture ferrate (come lo zoccolo di un cavallo) pronte a sostenerlo in ogni caso. In questo accrocco di mostruosità assortite, sembrava quasi una presa in giro quell’aggraziata mano femminile, capace però di dare un’apparenza di umanità a tutte le malefatte perpetrate dalla Chiesa tramite provvedimenti formalmente impeccabili, siglati con un agile colpo di penna, congeniati con cura per permettere a Roma di salvare la faccia.
E, in questa nuova accezione, la rappresentazione del Papstesel ebbe un successo dirompente. Il mostruoso ibrido asinino divenne un personaggio ricorrente nelle pubblicazioni protestanti dell’età della Riforma, guadagnandosi per qualche tempo un posto speciale nell’immaginario collettivo dell’Europa centrale. Per certi versi, si trasformò quasi in un animale mitologico, se vogliamo fare questo paragone: qualcosa di simile al cerbero o al ciclope, ma ancor più inquietante a causa del suo aspetto totalmente illogico, tale da sfuggire a ogni possibile legge di natura. Bastava guardarlo, per capire che qualcosa era andato drammaticamente storto nel momento in cui l’universo aveva partorito un tale abominio: e se queste erano solo le prime avvisaglie, chissà che altro sarebbe successo a breve!
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In effetti, il Papstesel di Roma fu il primo rappresentante di un vasto esercito di mostri che – a dar retta ai cronisti dell’epoca – invase l’Europa nel corso del XVII secolo. Nel saggio Le meraviglie del mondo, le storiche Lorraine Daston e Katharine Park spiegano che “nutrendosi delle ansie e delle aspirazioni del momento”, apparizioni prodigiose di ibridi mostruosi, immancabilmente intesi come messaggi che Iddio inviava all’uomo, si moltiplicarono, in un secolo caratterizzato “da condizioni di notevole instabilità: invasioni straniere, conflitti religiosi, guerre civili. Così in Italia il punto più alto dell’interesse per i prodigi fu raggiunto nel periodo tra il 1494 e il 1530, cioè durante la fase più distruttiva delle guerre italiane”. Ma non era finita qui, perché di lì a poco, questo esercito di ibridi mostruosi cominciò a marciare verso il nord: “in Germania, paese che aveva condiviso la preoccupazione italiana tardoquattrocentesca per i mostri, l’interesse per i prodigi proseguì fino a buona parte del seicento, alimentato dalle lotte politiche e religiose della Riforma”. Quanto alla Francia e all’Inghilterra, “la cultura dei prodigi si diffuse solo più tardi, negli anni sessanta e settanta del cinquecento, nel contesto delle guerre francesi di religione e dell’ascesa al trono di Elisabetta”: luci anomale nel cielo, cadaveri di animali fantastici spiaggiati sui litorali, parti mostruosi come mai se n’erano visti prima affollarono le cronache europee per un secondo abbondante. E per me, che ho appena scritto un libro sulla caccia alle streghe, è interessante notare come i periodi di massima intensità di queste apparizioni prodigiose coincidessero spesso con gli anni in cui la persecuzione delle fattucchiere si fece più intensa nelle zone d’Europa via via prese in esame. Anche se nessuno, all’epoca, tracciò il collegamento, si direbbe che i mostri e le streghe uscissero allo scoperto grossomodo nello stesso periodo. Come stupirsene, del resto?
Fu solamente il secolo dei Lumi a spazzar via questa inquietante invasione di ibridi, che smisero improvvisamente di essere citati dalle cronache nei primissimi anni del Settecento. Del resto, in quegli anni, stava cominciando a cambiare il modo di guardare alla realtà: trovandosi di fronte a un fenomeno prodigioso, l’uomo cercava innanzi tutto di indagarlo razionalmente per comprendere le cause che lo avevano reso possibile. I prodigi, i segni e i mostri (o quelli che un tempo erano stati definiti tali) suscitavano ormai un interesse medico-scientifico, più che un senso di stupore religioso. Molti storici definiscono questo fenomeno come un graduale processo di “disincantamento del mondo”; e forse non hanno tutti i torti, nel ricorrere a questo termine.
Francesca
In questi giorni stavo cercando di recuperare notizie su Ermanno il Contratto / lo Storpio (Hermann der Lahme). Avevo cercato anche qui da te perché mi sembrava che in passato tu avessi fatto un post… Però non lo trovo e allora forse l’ho letto da qualche altra parte.
In ogni caso sono certa che conosci la vicenda. E mi chiedo: come si può inquadrare la sua storia? Quelli che vivevano nell’anno Mille erano molto diversi dai medievali dei secoli successivi? Quelli in direzione Umanesimo e Rinascimento… (che presenti qui e che sviluppi anche nel tuo libro)?
Oppure Hermann – nato nel 1013 – fu un’eccezione (grazie ad ambienti molto “illuminati” che incontrò)?
Perché… Se invece Ermanno era la regola della visione / mentalità della sua epoca… C’è davvero tanto da approfondire sul come si arriva alla “caccia al mostro”… , sui fattori in gioco che creano ‘ste robe 🥴😑
Grazie sempre per il tuo lavoro. Non sempre scrivo ma ti seguo.
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Ago86
In questo articolo ci sono alcuni riferimenti sulla vita di Ermanno:
https://www.tempi.it/ermanno-storpio-reichenau-mille-anni-autore-salve-regina-storia-santo-deforme-anima-splendida/
Non viene detto molto, ma il riferimento a Cyril Martindale può suggerire una traccia bibliografica.
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Francesca
Mille grazie, Ago!
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Lucia Graziano
…scusate il ritardo con cui rispondo eh, se non si fosse notato questo è un periodo un tantinello pieno di lavoro (però, siccome una buona parte del lavoro si svolge su Aleteia, se qualcuno sente la mia mancanza può cliccare sul link a lato e trova ampia abbondanza di articoli da leggere 😅).
Uh, no, Francesca: sicuramente, di sant’Ermanno non hai letto da me, perché è da anni che mi ripropongo di scrivere qualcosa su di lui, ma alla fine non ho mai trovato il tempo. Se vuoi approfondire, c’è un capitoletto molto bello su di lui all’interno di Santa innocenza. I bambini nel Medioevo di Marco Bartoli (San Paolo, 2021), fra l’altro un libro delizioso in generale: leggero e divulgativo, ma molto documentato al tempo stesso. Il classico libro che si legge bene ma che fornisce spunti di approfondimento per chi vuole (consigliatissimo anche per regali di Natale, eventualmente, visto il periodo :P).
Per rispondere alla tua domanda: direi che a rendere diverso sant’Ermanno dai “mostri neonato” che citavo qui, ci sono sicuramente diversi fattori.
1) Sicuramente Ermanno era nato in un contesto privilegiato e aveva avuto una famiglia che aveva saputo, potuto e voluto prendersene cura (spesso su Internet si legge che Ermanno “fu abbandonato” in convento dai genitori che non volevano il figlio disabile: ma in realtà no, il bambino entrò in convento quando era già grandicello; fino ad allora, era cresciuto con una famiglia che evidentemente se ne era presa cura come aveva potuto, e non malamente). E, sicuramente, il fatto di essere entrato in un convento gli permise di avere una vita diversa rispetto a quella di “uno storpio qualunque” che è costretto a mendicare in giro per la strada, detto un po’ crudamente.
2) Sicuramente gli uomini dell’anno Mille erano diversi da quelli della prima età moderna, e a partire dal tardo ‘400 si registra davvero in tutta Europa un “incupimento” collettivo con atmosfere apocalittiche, paure che si fanno improvvisamente più concrete, teorie complottiste di vario tipo che parlano di congiure demoniache ai danni dell’uomo. Sì, l’atmosfera socio-culturale cambia pesantemente, e davvero sarebbe interessante analizzare più a fondo il fenomeno.
3) Ma soprattutto, almeno per come la vedo io, la “fortuna” di Ermanno il contratto fu quella di nascere con una disabilità sicuramente grave, però non particolarmente “mostruosa”. Nel senso: sì, non riusciva a stare dritto, ma presumibilmente aveva l’aspetto esteriore di un “normale” bambino, solamente un po’ troppo rattrappito (scusate i termini poco civili ma non so come dirlo diversamente 😂). Le nascite mostruose cui facevo accenno nel post non riguardavano tanto le “normali” disabilità che pure impediscono una vita normale, ma si focalizzavano soprattutto sui neonati affetti da deformità fisiche molto vistose. Tipo i gemelli siamesi, i bambini affetti da idrocefalia, i neonati che venivano al mondo con arti mancanti o comunque con deformità vistose. Non necessariamente tutte gravissime (ad esempio, nel Medioevo la gente si impressionava molto anche davanti a individui con la psoriasi o il labbro leporino), ma comunque sempre molto vistose. Vistosamente devianti rispetto a quella che avrebbe dovuto essere la norma, ecco.
Paradossalmente, c’è motivo di credere che un bambino paralitico, ma per il resto “normale” all’aspetto, facesse meno impressione di un neonato che veniva al mondo con tratti anatomici vistosamente diversi rispetto al solito, e dunque “mostruosi”. Ermanno il contratto, secondo me, era sicuramente considerato gravemente disabile ma, esteriormente, non era abbastanza “brutto” da poter essere catalogato tra le apparizioni mostruose e i prodigi della natura. Detto brutalmente e cinicamente 😅
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Francesca
Grazie Lucia! Davvero un sentito ringraziamento per tutte queste indicazioni – anche perché so benissimo dei tuoi nuovi impegni su Aleteia (e a volte mi chiedo dove trovi il tempo per dormire… Considerata la “produzione di materiale” che vedo di là). Eh, sì che lo sapevo 🙂 Forse ti era sfuggito il mio commento di fine ottobre
https://unapennaspuntata.com/2022/10/29/ingannatori-malefici-sapienti-presentazione-john-morigny/#comment-399315
dove raccontavo di come – nel giro di poche ore – fui costretta 😄 (ahimé a causa tua) ad elargire i miei dati alla suddetta testata per poter leggere tutti i tuoi articoli… Nonché a sovvertire la mia lista di priorità sul carrello di Amazon a causa dell’uscita del tuo libro. Lo sto leggendo e lo consiglio. (Prima di leggerlo l’ho spolverato 🤣 per 2-3 giorni, credendo che fosse molto impolverato… Poi invece ho capito che si trattava di una copertina “vellutata” – mi scuso ma non conosco il termine tecnico per definire quel tipo di cartoncino).
Attenderò – a tempo indeterminato – il tuo articolo divulgativo sul nostro Ermanno.
Sì, mi era chiaro che la famiglia di provenienza era di “buon livello” (diciamo così) e che non si era trattato di “abbandono” del bambino. Proprio queste info “giuste&sensate” mi avevano fatto pensare a te come autrice/fonte, ma òh, proprio non mi ricordo dove ho letto la sua storia la prima volta… So solo che mi è rimasto stampato nella mente e nel cuore. Perché comunque è vicenda particolare, e lui stesso è una personalità particolare (per me)… E l’unico grande dubbio può essere tra una vicenda “più unica che rara” e una “mentalità diffusa che però la nostra attuale mentalità non attribuirebbe mai ai medievali”. (Insomma, una materia buona per il tuo lavoro 🙂).
Alle tue osservazioni aggiungo solo:
1) posso anche immaginare che di gente abbastanza “rattrappita” – anche se non ridotta a vivere su un sedia – all’epoca di Hermann ne girasse parecchia. E perciò la percezione di quella situazione fosse pure attenuata (rispetto alla nostra stessa percezione moderna).
2) siccome dubito che nei tempi passati siano esistite epoche esenti per lunghi periodi da epidemie, disastri naturali, leggende “metropolitane” e superstizioni… Ri-sottolineo anch’io il grande interesse per l’analisi di certe dinamiche più “malate” o “contagiose” che si vengono a creare nella Storia.
Grazie di tutto 🙂
Continua così. Buon lavoro e… Ogni tanto fatti una bella grande dormita 🙂
Francesca
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scienziatimatti
Grazie per i post sempre interessantissimi! Non so se sto dicendo una cosa a caso, ma lo scultore Peter Lenk c’entra qualcosa con queste storie? Mentre leggevo mi sono venute in mente tutte le sue sculture a Konstanz e dintorni
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Lucia Graziano
Mi era sfuggito questo commento e lo noto solo oggi, scusa!
In effetti non conoscevo Peter Lenk e ho dato un’occhiata in giro alle sue opere. Non so fino a che punto si sia ispirato specificamente all’iconografia del Papstesel per irridere i pontefici tardomedievali, però mi sembra sicuramente di cogliere nelle sue opere un richiamo voluto all’iconografia protestante di inizio ‘500 utilizzata per ridicolizzare i papi (ché il Papstesel era solo una variante; poi c’erano anche caricature satiriche grottesche ma prive di tratti animali…).
Su Wikipedia ho trovato questo articolo:
https://www.focus.de/kultur/kunst/ende-einer-satire-papst-figur-wieder-entfernt-kunst_id_1836938.html
nel quale si dice, in sostanza, che la statua “incriminata” era dedicata a Imperia Cognati, famosa cortigiana romana, che secondo l’interpretazione dell’autore teneva in pugno papi e imperatori grazie alle sue arti di seduzione. Il ritratto del papa mi sembra rifarsi più alla satira protestante in generale, come dicevo (e non all’iconografia del Papstesel nello specifico), ma sicuramente un richiamo a quell’epoca storica c’è, direi!
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