Silvestro II e la morte d’un papa

Solo adesso, mentre il cotechino bolle in pentola e i primi petardi iniziano a esplodere per strada, trovo il tempo di aprire l’editor del blog (dopo aver riprogrammato nel panico un articolo di auguri di buon anno che avrebbe dovuto auto-pubblicarsi esattamente quattro minuti dopo l’orario in cui le agenzie di stampa hanno lanciato la notizia del giorno). Essere testimoni della morte di un papa emerito (che già di per sé è evento ampiamente storico) diventa un’esperienza ancor più elettrizzante se la si vive all’interno di una redazione: per chi volesse leggere qualche mio articolo un po’ più strutturato, Aleteia Italia pubblica un bel po’ di mio materiale (tra cui un pezzo sull’infanzia del futuro papa, uno sulla sua giovinezza durante gli anni del nazismo e, naturalmente, uno dedicato alle sue politiche di canonizzazione).

Ma l’approfondimento probabilmente più curioso è quello che mi è stato chiesto riguardo a una curiosità di natura storica: cosa succedeva un tempo (per esempio, nel Medioevo) quando un papa veniva a mancare? E quand’è che cominciano lentamente a prendere forma i cerimoniali funebri pontifici che conosciamo oggi? Se vorrete togliervi la curiosità, dovrete necessariamente sbirciare questo mio articolo apparso su Aleteia; quello che invece vorrei raccontare qui è un aneddoto così bizzarro da non poter essere citato altrove, ma sicuramente perfetto per questo mio blog.

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A partire dall’anno Mille (e, in particolar modo, da dopo la morte di papa Leone IX, deceduto nel 1054 in circostanze surreali che davvero dovreste andare a leggerle su Aleteia), la predicazione, l’omiletica e la retorica si concentrarono con grande pathos sulla caducità della vita del pontefice. La morte di un papa diventava l’occasione perfetta per ricordare ai fedeli che davvero le glorie mondane sono vane e transitorie: persino il sommo pontefice, vicario di Cristo in terra, è destinato a soffrire, agonizzare, morire e decomporsi proprio come un qualsiasi altro uomo.

Ma c’era molto più di questo. Già alla metà dell’XI secolo, san Pier Damiani aveva composto un’intera operetta sulla Brevità dei pontefici romani (avendo pure la gentilezza di dedicarla ad Alessandro II, il papa in quel momento in carica. Non è nota la reazione di lui nel vedersi recapitare cotanto regalo). In questo testo, l’autore dava spazio a quello che doveva essere il comune sentire dell’epoca: se la morte di un pontefice era indubbiamente un evento molto umano, fatto di sofferenza, rantoli, dolori e malattia, essa era al tempo stesso un fenomeno del tutto innaturale, intrinsecamente diversa da quella di ogni altro essere umano. Un governante, un re, persino un imperatore viene pianto solamente dai sudditi che hanno avuto modo di vivere entro i confini del suo regno; ma la morte del papa è un evento universale, che travalica qualsiasi tipo di confine terreno per far sussultare in unico pianto l’intera massa della cristianità. È la Chiesa universale, in terra come in cielo, a sprofondare nel lutto nel momento in cui un papa esala l’ultimo respiro: e fu proprio la riflessione sulla totale straordinarietà di una morte altrimenti del tutto ordinaria ad alimentare, col passar del tempo, la nascita di alcune curiose credenze di folklore.

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Ormai li conosciamo: gli uomini del Medioevo erano gente strana, che in ogni cosa scorgeva grandi segni celesti (e, se non li scorgeva, si inquietava un po’ e andava a cercarli di proposito). E così – per dirla con le parole di Antonio Paravicini Bagliani, autore di un saggio storico dedicato a Morte e elezione del papa – «il tema della transitorietà e della caducità germogli[ò] in un nuovo campo, quello della leggenda, e si concretizz[ò] nella tomba di un papa celebre, situata per di più nella chiesa cattedrale del vescovo di Roma, il Laterano».

Stiamo parlando di Gerberto di Aurillac, che dal 999 al 1003 si fece conoscere al mondo come Silvestro II e che di lì a poco passò alla storia col bizzarro appellativo di “papa mago”. Ho già raccontato altrove le origini di questa nomea, che gli fu affibbiata solo post mortem: l’idea che Gerberto di Aurillac fosse un mago oscuro e un necromante fu a tutti gli effetti una leggenda nera, sviluppatasi peraltro dopo parecchio tempo dalla morte di Silvestro II, e che va inquadrata nel tentativo di screditare la sede pontificia per sostenere la causa dell’antipapa Clemente III.

Certo è che l’appellativo di “papa mago” si appiccicò saldamente alla figura di Silvestro, e pian piano cominciò a influenzare anche il folklore di chi non aveva nulla in contrario alla sede pontificia ma, semplicemente, amava le storie avventurose. E infatti, verso il XII secolo, la leggenda di papa Silvestro si arricchisce di un elemento «che non può passare inosservato», per citare le parole di Antonio Paravicini Bagliani: «il suo sepolcro emette umidore per annunciare la morte imminente del papa regnante». Del resto, era quantomai opportuno che il defunto pontefice ammanicato con l’occulto fosse in qualche modo in grado di preannunciare gli eventi ancora da venire. E infatti, «Guglielmo Godell, autore di un Chronicon scritto tra il 1135 e il 1175, racconta che quando si avvicina la morte del pontefice, dal sepolcro di papa Silvestro II, posto nella basilica di San Giovanni in Laterano, esce una tale quantità di umidore che tutt’intorno si crea del fango. Se invece è imminente la morte di un cardinale o di persona di alto rango, appartenente al “ceto dei chierici della somma Sede (apostolica)”, dal sepolcro scorre tanta acqua da essere completamento irrigato».

E qualche decennio più tardi è Walter Map, autore di una biografia romanzata di Silvestro II che veramente sarebbe degna di un romanzo fantasy, a sottolineare con ancor maggiore intensità le capacità predittive di questo sepolcro lateranense: quando s’approssima la morte di un papa, l’urna di Gerberto d’Aurillac trasuda acqua pura fino a creare un rivo d’acqua che scorre fino a terra bagnando il pavimento; se invece a essere imminente è la morte di un altro pezzo grosso (cardinale, santo o personalità cristiana d’altro tipo) il fluido si limita a trasudare attraverso l’urna, senza però allargarsi a lambire la chiesa intera.

Chissà se ieri sera, durante la Messa celebrata in Laterano per sostenere Benedetto XVI nelle sue ultime ore di vita, qualcuno ha sbirciato in direzione della tomba di Silvestro II per vedere che succede quando a essere incombente è una morte papale del tutto extra-ordinaria, anche per la media dei pontefici. Nel Medioevo, nessuno s’era posto il problema di dover descrivere la fenomenologia relativa alla morte di uno che è papa sì, ma papa emerito: del resto, perché avrebbero dovuto? Nessuno prima di noi avrebbe potuto anche solo contemplare l’esistenza di un simile scenario: ed è su questo punto che sosto ancora una volta, sottolineando che davvero noi, oggi, abbiamo avuto il privilegio raro di vivere la Storia, quella con la S maiuscola.

Che capo d’anno, questo Capodanno.


Per approfondire: Agostino Paravicini Bagliani, Morte e elezione del papa. Il Medioevo (Viella Libreria Editrice, 2013)

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