Le ghost stories di san Gregorio Magno

Il parroco della chiesa di San Giovanni a Tauriana (odierna Palmi, provincia di Reggio Calabria) soffriva di quei fastidiosi doloretti che spesso affliggono gli uomini d’età avanzata. L’esperienza gli aveva insegnato che i bagni caldi avevano il beneficio di alleggerirlo da quei fastidi, sicché il sacerdote visitava di frequente uno stabilimento termale della zona.

Che gli piacesse o no, era ormai diventato un habitué, che spendeva considerevoli dosi di denaro per quei trattamenti costosi ma necessari; sicché, tutto subito, non si stupì neanche troppo nel realizzare che il proprietario dello stabilimento termale aveva evidentemente ordinato a un inserviente di riservargli attenzioni tutte speciali. L’ometto lo accoglieva ogni volta sulla soglia, gli slacciava i sandali per risparmiargli la fatica di doversi chinare, prendeva in custodia i suoi vestiti non appena lui si preparava per il bagno e glieli faceva ritrovare, spazzolati di fresco, alla fine del trattamento. Lo aspettava fuori dalla vasca con asciugamani profumati e lo aiutava a rivestirsi con una premura che aveva del commovente: un’assistenza così impeccabile da andare ben oltre ai normali standard di servizio, e che sembrava necessariamente implicare da parte di quel brav’uomo buone dosi di altruismo e di genuina benevolenza.

Riflettendo sulla non comune gentilezza che quell’inserviente riversava su di lui col sorriso sulle labbra, il sacerdote decise un giorno di fare qualcosa per sdebitarsi: dopo tutto, ogni lavoratore gradisce una piccola mancia – e il prelato scelse di concretizzarla in un paio di pagnotte di primissima scelta che comprò dal fornaio strada facendo. Le offrì al suo amico con un largo sorriso, pregandolo di accettarle come segno della sua gratitudine; e francamente restò spiazzato nel vedere la malinconia che s’impossessò dell’altro in tutta reazione, trasformandogli il viso in una maschera di disperazione e riempiendogli gli occhi di lacrime. “E in che modo mai potrei farne buon uso?”, replicò in tono triste: “non è più in mio potere masticare il cibo”. E, no, il problema non era il mal di denti: “quello che tu credi essere un uomo come tanti, fu in realtà il proprietario di questo stabilimento, molti anni fa – e adesso non è più. Vedi, sono morto da tempo, ma costretto a espiare i miei peccati in penitenza: e Iddio mi ha condannato a ritornare ogni giorno in questo luogo svolgendo ruoli di servizio, a mortificare la superbia che mi caratterizzava in vita”. Accennò un sorriso triste, allontanandosi d’un passo da quelle due pagnotte: “se davvero vuoi fare qualcosa per me, offri questo pane in sacrificio all’Onnipotente, intercedendo presso di lui per la mia salvezza. Saprai che le tue preghiere avranno avuto effetto nel momento in cui, tornando qua, non mi troverai più ad accoglierti”.

E così dicendo, sparì nel nulla, rivelando al di là di ogni ragionevole dubbio la sua natura di essere immortale. Non c’è nemmeno bisogno di aggiungere che il sacerdote ci restò di sasso: per mesi e mesi aveva avuto a che fare con quel fantasma senza minimamente rendersi conto che fosse tale; e, ovviamente, scoprire che il suo caro amico era un’anima in pena fu una scoperta che ebbe su di lui l’effetto di una denotazione. Tornato nella sua canonica, si immerse in una preghiera costante a vantaggio di quell’infelice, recitando per lui un’infinita quantità di salmi e offrendo in suo nome tutte le Messe che celebrava. E quando sette giorni dopo tornò alle terme, per il suo consueto appuntamento settimanale, provò un misto di malinconia e di esultanza nel rendersi conto che non c’era nessuno ad accoglierlo alla porta: l’inserviente fantasma era sparito, evidentemente liberatosi dalla sua pena grazie alle preghiere che erano state offerte in sua intercessione. Chinandosi (un po’ a fatica) per slacciarsi i sandali, il sacerdote sentì affacciarsi sulle labbra un sorriso dolceamaro: grazie a Dio, quel brav’uomo si trovava adesso in un posto migliore. Però, non poteva negarlo a se stesso: sotto sotto, gli sarebbe mancato quel brav’uomo.

***

A raccontare questa storia è Gregorio Magno, lo stesso santo che oggi Mani di Pasta Frolla omaggia sul suo blog con una ricetta della tradizione. Da mia parte, invece, lo ricordo con un altro aspetto che ben di rado gli è associato, se non negli studi di settore: e cioè, la sua insospettabile attività parallela come autore di ghost stories di successo, se così vogliamo chiamarle (…ma in effetti, perché non dovremmo?).

Sul scrisse una infinità, infarcendoci il libro IV dei suoi Dialoghi, quasi interamente dedicato alla riflessione sull’immortalità dell’anima. Sì, perché, mettendosi allo scrittoio, Gregorio si rese conto di una cosa su cui gli autori cristiani venuti prima di lui avevano preferito soprassedere: e cioè, che se devi convincere qualcuno circa l’esistenza di un’anima immortale che, separatasi dal suo corpo terreno, continua a vivere da un’altra parte, le storie di fantasmi sono un fantastico assist a tuo vantaggio.

Intendiamoci: non è certo stato san Gregorio Magno a inventare nel VI secolo il genere letterario della ghost story. Di storie di fantasmi è piena la letteratura classica, e senza dubbio anche i cristiani dei primi secoli ne conoscevano a centinaia, che si raccontavano sotto voce nelle buie notti d’inverno. Ma il dettaglio sta appunto in quel “sotto voce”; vale a dire: gli autori cristiani dei primi secoli non mostrarono particolare entusiasmo nei confronti di questo genere letterario (se così, impropriamente, vogliamo chiamarlo); e del resto, anche oggi molti credenti si irrigidiscono quando sentono raccontare questo tipo di leggende. Dietro a questa ritrosia bimillenaria, ci sono sempre le stesse motivazioni: le storie di fantasmi hanno una allure paganeggiante e sembrano essere un genere letterario pericolosamente prossimo ad altri tipi di letture peccaminose; insomma, meglio lasciar perdere – ci sono mille altri modi per intrattenere il proprio pubblico edificandolo.

Ebbene: Gregorio Magno fu tra i primi, in ambito cristiano, a realizzare che una ghost story buttata lì nel momento giusto (e, ovviamente, riadattata a rispecchiare la teologia vigente) può trasformarsi invece in un ottimo strumento di evangelizzazione: perché insegna verità di fede facendo leva su contenuti emotivamente forti, che coinvolgono molto più di mille sermoni pieni di filosofia. Per citare le parole di Nancy Mandeville Caciola, autrice di un gustosissimo saggio dedicato a Afterlives. The Return of the Dead in the Middle Ages, «Gregorio inaugurò una nuova strategia di evangelizzazione per la Chiesa: fu il primo autore della tradizione cristiana a usare intensivamente le storie di fantasmi allo scopo di riconfermare gli insegnamenti cristiani sulla vita dopo la morte. La sua acuta realizzazione fu quella di capire che i fantasmi potevano essere uno strumento estremamente utile per dimostrare la veridicità di quello che era un punto-chiave della dottrina cristiana: che l’anima vive eternamente, in tormento oppure in grazia» a seconda del modo in cui s’è comportata in vita.

E di questa sua intuizione, beneficiò grandemente l’intera comunità ecclesiale, durante i secoli del Medioevo: la tradizione cattolica è strapiena di ghost stories, variamente declinate in modo tale da trasmettere insegnamenti edificanti. Tipo l’importanza di pregare per i defunti, la necessità di volgere la propria vita verso il meglio prima che la morte ci colga di sorpresa, la pericolosità di commettere determinati peccati, che si trasformano quasi automaticamente in una condanna eterna; gli autori più abili riuscirono addirittura a sfruttare le ghost stories per trasmettere ai loro lettori insegnamenti del tutto collaterali, tipo quello per cui un matrimonio sacramentale lega due anime con un filo strettissimo che davvero li rende un tutt’uno inscindibile.

«Non c’è dubbio che i Dialoghi di Gregorio Magno, con queste storie mirabolanti a illustrarne la teologia, contribuirono a diffondere in tutta l’Europa Occidentale la pratica di celebrare l’eucarestia per la liberazione delle anime purganti» annota Richard Rutherford, un sacerdote che ha dedicato buona parte della sua attività accademica allo studio dei riti funebri cattolici attraverso i secoli. In un contesto storico in cui sempre più di frequente la predicazione si focalizzava sulle pene che attendono i peccatori nell’oltretomba, là dove la giustizia è amministrata da un giudice retto ma rigoroso, questi aneddoti ‘da brivido’ avevano l’effetto di spingere i fedeli a riflettere attentamente sul destino che avrebbe atteso loro (e i loro cari!) al momento della morte: «un’attitudine che rivela anche un graduale spostamento dall’escatologia ecclesiale della tradizione antica a un’escatologia dell’individuo», che si focalizza cioè sul destino specifico di quel peccatore lì. E su tutto quello che dai viventi può essere fatto per alleviare le sofferenze di quel peccatore lì, proprio lui: il babbo, l’amico caro, la sposa morta prematuramente…

***

Non a caso, fa riferimento a san Gregorio Magno una pratica ancor oggi piuttosto popolare tra i cattolici, cioè quella appunto delle “messe gregoriane”: un ciclo di messe in suffragio di un singolo defunto che vengono celebrate per trenta giorni consecutivamente. L’aneddoto che ha portato all’instaurarsi di questa pratica è relativamente noto tra i credenti, quindi lo racconterò per sommi capi: nel monastero di cui Gregorio era abate, un certo monaco di nome Giusto aspettò di essere in punto di morte per confessare d’aver violato per anni il voto di povertà, conservando tre pezzi d’oro nella sua cella. Gregorio reagì con la massima durezza, ritenendo che il monaco avesse confessato quel peccato solamente per paura e temendo che troppa clemenza nei suoi confronti avrebbe potuto essere di scandalo per tutti quegli altri religiosi che invece s’erano sempre sforzati di rigare dritto. Sicché, ordinò che Giusto fosse sepolto in terreno non consacrato e che nessun monaco pregasse per la sua anima, a sottolineare lo sdegno della comunità a fronte di quel peccato così a lungo tenuto nascosto.

Ma dopo circa un mese, fu Gregorio stesso a vacillare sotto il peso della sua stessa decisione: gli parve eccessivamente dura, forse sproporzionata alla reale gravità della colpa. E così, senza dirlo a nessuno, cominciò privatamente a pregare per l’anima di Giusto, celebrando per lui una Messa ogni giorno.
E data la segretezza con cui Gregorio aveva condotto queste celebrazioni in suffragio, il santo abate si sentì tremar le vene e i polsi quando, dopo qualche settimana, uno dei suoi monaci accorse da lui con un sorriso un po’ perplesso, ma raggiante: quella notte, l’anima di Giusto gli era apparsa in sogno, per portargli buone novelle. Grazie alle preghiere che erano state levate al cielo in sua intercessione, era finalmente stata in grado di raggiungere il Paradiso, liberandosi dai supplizi che fino a quel momento l’avevano avvinta!

Facendo due conti, Gregorio calcolò a ritroso quante messe avesse celebrato a vantaggio dell’anima di Giusto: realizzò che il totale ammontava a trenta – evidentemente, un quantitativo che era stato sufficiente per liberare l’anima di Giusto dalle fiamme del Purgatorio. E così, s’affermò pian piano la consuetudine di fare altrettanto per tutte quelle anime della cui salvezza c’era motivo di dubitare: non fu tecnicamente san Gregorio Magno a inventare a tavolino la pratica delle “messe gregoriane”; furono piuttosto i fedeli a cominciare spontaneamente a chiedere ai loro parroci la celebrazione di trenta messe consecutive in suffragio dei loro defunti, prendendo ispirazione da quanto si leggeva nei suoi scritti (un vero e proprio best seller, in epoca medievale). Nascevano così le “messe gregoriane”, che nel Medioevo godettero di incredibile diffusione – attirando su di sé anche qualche critica di rilievo. Il Concilio di Trento sembrò molto prossimo ad abolirle, temendo che questa pratica fosse vissuta da alcuni fedeli come una sorta di superstizione a sfondo magico che creava ai loro occhi una pericolosa equazione tra la celebrazione di tot. messe e gli effetti attesi nell’oltretomba; ma si decise infine di dare una seconda chance a questa devozione, che infatti sopravvisse vigorosa attraverso i secoli. Ancor oggi molti monasteri celebrano cicli di messe gregoriane in suffragio dei defunti, secondo le intenzioni delle famiglie (numerose!) che via via ne fanno richiesta (vi basterà fare una rapida ricerca su Google per trovarvi di fronte a decine di comunità religiose ben felici di accontentare questo tipo di richieste).

E – ci pensereste? Tutto grazie a un racconto di fantasmi!


Per approfondire:

  • Andrew Joynes, Medieval Ghost Stories. An Anthology of Miracles, Marvels and Prodigies (Boydell Press, 2006)
  • Richard Rutherford, The Death of a Christian. The Order of Christian Funerals (Liturgical Press, 2017)
  • Nancy Mandeville Caciola, Afterlives. The Return of the Dead in the Middle Ages (Ithaca, 2016)

10 risposte a "Le ghost stories di san Gregorio Magno"

  1. Avatar di ac-comandante

    ac-comandante

    La tradizione cattolica è strapiena di ghost stories

    Come è successo, e quando, che la Chiesa Cattolica abbia cominciato a condannare la credenza nei fantasmi, allora? Oggi lo spiritismo è condannato alla pari di talune ideologie politiche, se non peggio.

    E quando l’offerta in denaro “per liberare le anime del purgatorio” (nota come indulgenza) è stata vietata? Vaticano II? Sicuramente ben dopo la Riforma protestante che queste hanno scatenato, perchè ancora oggi in chiese ben più recenti si vedono le cassette per le offerte “per le anime del purgatorio” (ne ho vista una in una chiesa ottocentesca).

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    1. Avatar di sircliges

      sircliges

      … bensì l’attività di spiritismo, sedute spiritiche etc, insomma il voler cercare attivamente un contatto con i fantasmi. Come a dire: se Dio decide di mandarmi una apparizione spettrale, ok, l’ha deciso lui e va bene; se a tutti i costi me la cerco io, va male

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    2. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Riguardo alle offerte in denaro per le anime del Purgatorio, sarei tentata di dirti che in un certo senso non sono mai finite 😂 Nel senso che: il commercio delle indulgenze è un fenomeno ben preciso, e a quello in effetti il Concilio di Trento ha cercato di mettere fine con una certa decisione. A livello locale hanno poi continuato a esistere fino a tutto il ‘600 dei fenomeni correlati tipo quello del pellegrinaggio a cottimo per conto terzi (ne accennavo qui), ma diciamo che la compravendita delle indulgenze ha in effetti avuto fine nella Controriforma.

      Però, la pratica di offrire denaro ai sacerdoti in cambio della celebrazione di messe in suffragio per i defunti è ancora ben viva (statistiche recenti dicono che se ne avvale, oggi, il 40% degli Italiani. Non degli Italiani cattolici praticanti eh, proprio degli Italiani in generale!). E lo scopo delle messe per i defunti è proprio quello di liberare le anime del Purgatorio. Le cassettine per le offerte a cui ti riferisci molto spesso erano finalizzate a creare un piccolo “tesoretto” da lasciare a disposizione per quelle famiglie della comunità che non avevano abbastanza soldi per pagare le messe in suffragio ma desideravano comunque farne celebrare. Un po’ come il caffè sospeso nei bar napoletani, per capirci 😛

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    3. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      …e, per quanto riguarda l’atteggiamento della chiesa cattolica nei confronti dei fantasmi, in realtà mi verrebbe da dire che la posizione ufficiale è più sfumata.

      A livello globale, attorno agli ’30 del ‘900 si nota un po’ ovunque (in tutte le fasce della società occidentale, quindi anche in seno alla chiesa cattolica) la netta tendenza “razionalista” ad allontanarsi da quelle storie di fantasmi che fino alla decade precedente avevano avuto larga diffusione (e venivano tendenzialmente prese per vere). Vale a dire: se oggigiorno io dovessi andare dal mio parroco a dirgli che vedo il fantasma di mia nonna morta, non riesco proprio a immaginare uno scenario in cui lui mi dice “ah veh, che bella cosa”; probabilmente mi prenderebbe per pazza, mi suggerirebbe di andare a farmi vedere da uno bravo o (alla peggio) penserebbe a una qualche forma di manifestazione demoniaca che usa le sembianze di mia nonna per trarmi in inganno, e mi proporrebbe di far benedire la casa.

      Ma questo, diciamo, è il comune sentire del cattolico-medio di oggi nell’Occidente. Ciò non toglie che nella Vita di don Bosco (e dico don Bosco, non un santo medievale) ci siano episodi in cui anime defunte tornano sulla terra come apparizioni notturne, e che ancor oggi la chiesa cattolica ritenga vere delle manifestazioni (vedi il caso di santa Clelia Barbieri) che obiettivamente vien difficile non accostare ai fenomeni di fantasmi. Quindi non credo che la chiesa cattolica abbia mai detto ufficialmente “no, i fantasmi non esistono”, e anzi credo che sarebbe abbastanza imbarazzante da parte sua dire una cosa del genere.

      Quello che la chiesa cattolica ha fatto è stato condannare con fermezza ogni tentativo di mettersi in contatto con le anime defunte tramite sedute medianiche, tavolette ouija e così via dicendo. La condanna è duplice: i tentativi di divinazione tramite il ricorso alle anime defunte sono (ovviamente) accostate alle pratiche di magia e dunque vietate perché contrarie al primo comandamento. Lo spiritismo, invece, era andato incontro fin da subito a una condanna molto netta perché, in realtà, se vai a guardar bene, si presentava proprio come una religione a sé stante. La visione dell’oltretomba professata dallo spiritismo era leggermente (ma significativamente) diversa rispetto a quella professata dalle varie chiese cristiane (infatti non era stata solamente la chiesa cattolica a ravvisare problemi; in questo, anche le chiese protestanti avevano espresso la medesima condanna).

      Aderire allo spiritismo non voleva dire solamente cercare un modo per mettersi in contatto con l’anima del figlioletto tuo morto prematuramente in guerra; voleva proprio dire fare una abiura parziale, su temi anche molto rilevanti della fede cristiana. Quindi era apostasia, o nel migliore dei casi un sincretismo di religioni diverse (comunque intollerabile): in questo senso, aderire allo spiritismo era del tutto incompatibile con la vita cristiana. Probabilmente lo si considerava ancor più grave del singolo tentativo di farsi dare i numeri del lotto dal fantasma di nonno Pio ricorrendo alla fattucchiera della porta accanto, perché questo era un peccato (grave, ma “solo” un peccato) mentre aderire allo spiritismo era proprio considerato alla pari di una professione di fede non cristiana.

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  2. Avatar di Sconosciuto

    Anonimo

    che bella questa tradizione delle trenta messe…non l’ avevo mai sentita, a prescindere da eventuali possibili superstizioni pensare che ci sia qualcuno che dona il suo tempo e i suoi pensieri a qualcuno che non c’ è più è molto bello, dedicare uno sforzo per il bene di questa persona anche se non c’è più.

    elena

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Beh, la pratica di far celebrare messe in suffragio dei propri defunti (in genere singolarmente, in occasione di anniversari / compleanni / date speciali etc – non trenta di fila 😛) è ancor oggi molto popolare in qualsiasi parrocchia, eh. Anzi, leggevo tempo fa in un saggio di Franco Garelli (Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio) un dato che avevo trovato molto interessante: in base a indagini statistiche che sono state fatte in anni recenti, oggigiorno la percentuale di cittadini italiani che frequenta con regolarità la messa domenicale si assesta attorno al 20%.

      Però, il 40% (della popolazione italiana ha cura di far celebrare periodicamente delle messe in suffragio dei suoi defunti (!) (e per inciso, trent’anni fa solo il 20% degli Italiani si dichiarava convinto dell’esistenza di una vita dopo la morte; nel 2019, la percentuale era raddoppiata). Interessante.

      Sulla pratica delle trenta messe consecutive, devo dire che anche in me prevale la preoccupazione per le derive superstizione che può alimentare in alcuni fedeli (perché conosco i miei polli): ovviamente non c’è niente di male nel far celebrare consecutivamente trenta messe di suffragio, ci mancherebbe altro, ma ovviamente in prospettiva cattolica non cambia assolutamente niente se le trenta messe sono celebrate tutte di fila o nell’arco di tot. mesi. Però non c’è dubbio che sia un bel gesto e un gesto di valore – anche monetario, perché ovviamente domandare a un sacerdote di celebrare trenta messe di fila comporta tendenzialmente il dargli una offerta di denaro che per molte famiglie può essere non proprio indifferente nel bilancio di fine mese. E questo, a suo modo, rende il gesto ancora più bello, sì 🙂

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