Offrire uova ai propri morti: quell’antica tradizione slava dietro la moderna Pasqua

Il bambino aveva otto anni e “ancora” non camminava: a voler usare un eufemismo, era ampiamente scaduto il tempo massimo entro il quale ci si poteva illudere che il pargolo avesse solo bisogno dei suoi tempi e che la situazione si sarebbe sistemata da sola, presto o tardi. Sicché, in un anno indeterminato che potrebbe essere il 1274 o alternativamente il 1287 (le fonti non concordano sulla datazione), una madre disperata tentò il tutto per tutto e si recò in pellegrinaggio a Trzebnica presso la tomba di santa Edvige.

Non quella più famosa, e cioè santa Edvige di Polonia, che non era ancora nata quando si compirono i prodigi che sto per raccontare.
No, la madre indirizzò le sue preghiere a santa Edvige di Andechs, duchessa di Slesia, una pia donna che aveva occupato gran parte della sua vita dedicandosi alle opere assistenziali ed erigendo monasteri femminili. Rimasta vedova, aveva preso il velo come monaca cistercense: morta nel 1234, era stata sepolta nel monastero di Trzebnica ed era infine stata proclamata santa nel 1267.

Oggigiorno, di certo non si può dire che Edvige di Andechs sia una delle figure più amate del martirologio. Ma senza dubbio godeva di una ragionevole popolarità negli anni immediatamente seguenti alla sua canonizzazione: e fu giustappunto sulla tomba di questa neo-aureolata che si recò in pellegrinaggio la madre affranta, chiedendo un miracolo per suo figlio paralitico.  

Lo fece nel martedì dopo Pasqua, forse a voler massimizzare la sacralità vittoriosa di quei giorni; o forse, banalmente, unì l’utile al dilettevole e approfittò della festa per proporre alla sua famiglia una gita fuori porta, secondo una consuetudine che era già diffusa nella Polonia di quell’epoca. Certo è che, in quel lontano martedì di Pasqua, la madre si inginocchiò sopra la tomba di santa Edvige e fece sedere accanto a sé il suo bambinetto: e poi si raccolse in una preghiera muta e disperata. Al termine della quale, ovviamente, il bambino si mise in piedi e camminò.

Lo fece con tutta la naturalezza di questo mondo, come se non avesse mai fatto nient’altro in tutta la sua vita: semplicemente, adocchiò un uovo colorato che era stato posato su un lato della tomba e, con un sorriso a illuminargli il visetto paffuto, si mise in piedi e mosse un passo per andarlo a recuperare. Dopodiché, lo prese in mano e lo rimirò tutto contento, con un risolino soddisfatto, prima di tornare a sedersi dove sua madre lo aveva adagiato.

Trattenne il fiato, la madre, incredula; e così fece anche il sacerdote che aveva battezzato il bimbo e che aveva compiuto il pellegrinaggio assieme a quella famiglia sfortunata, per essere vicino ai suoi parrocchiani in quel momento di preghiera. La badessa dell’abbazia di Trzebnica, invece, era donna pratica: senza concedersi troppa commozione, corse subito a prendere un altro ovetto colorato che era stato posato sulla tomba della santa e lo allontanò spostandolo un po’ più in là, in mezzo ai banchi della chiesa. “Vuoi anche questo?”, disse al bimbo, con un sorriso incoraggiante. “Se lo vuoi, è tuo. Vienlo a prendere!”.
E il bimbo si rimise in piedi e trotterellò verso la badessa, prendendo l’uovo direttamente dalle sue mani.
“E questo qua?”. La badessa si piegò e ne fece scivolare un altro lungo la navata, lanciandolo con sufficiente energia da farlo ruzzolare ben lontano. E come se niente fosse il bimbo spiccò una corsetta per andare a recuperare il suo tesoro prezioso: e il risolino entusiasta quando lo ebbe tra le mani si mescolò ai singhiozzi della madre, che scoppiava in un pianto pieno di gratitudine. La misericordia divina s’era manifestata ancora una volta in tutta la sua potenza – e questo, per inciso, non è il fulcro del racconto.

Non di quello che ne sto facendo io, quantomeno.

La cosa davvero rivelante, in questa storia, non è il miracolo quanto più l’elemento accessorio delle uova decorate: perché la Vita di santa Edvige, composta sul finire del XIII secolo, costituisce a oggi la più antica tra le fonti di matrice cristiana a testimoniare un’usanza che sappiamo esser stata assai diffusa tra i popoli slavi dell’Europa orientale. E cioè, quella di omaggiare i propri defunti col dono di piccole uova colorate, nel periodo in cui i primi tepori della stagione già sembrano promettere la rinascita di vita nuova, a primavera.

Ovviamente, parlare di uova colorate nel contesto cristiano di un’agiografia fa immediatamente correre il pensiero alle decorazioni di Pasqua (e infatti, il miracolo si svolge proprio due giorni dopo la domenica di resurrezione). Ma è molto probabile che quelle uova lì, che l’agiografia sottolinea esser state poggiate sulla tomba di una santa, avessero ragion d’essere in virtù di una tradizione ben più antica, che affonda le sue radici in quel passato lontano in cui il Vangelo non era ancora stato annunciato ai popoli del Nord.

Beninteso: non sto dicendo che l’abitudine di colorare le uova a Pasqua deriva da una tradizione precristiana di quei popoli. Tanto più che queste decorazioni festive non sono un prodotto culturale esclusivo degli slavi; per dire: sappiamo per certo che, in Inghilterra, si distribuivano uova di Pasqua già nel 1290. Banalmente, l’uovo è un oggetto dal valore allegorico fortissimo (e direi per ovvie ragioni), in virtù del quale divenne simbolo in una infinità di culti, in giro per il mondo e per la Storia.

E tra i tanti culti che diedero all’uovo un ruolo di prim’ordine, vi è anche (ma non solo) quello dei popoli slavi pre-cristiani; in quel contesto, «le uova avevano un ruolo di rilievo nelle tradizioni e nei riti funebri orchestrati per onorare i propri morti». A spiegarcelo è Sophie Hodowowicz Knab, autrice di un saggio dedicato a Polish Customs, Tradition, & Folklore: nelle religioni slave d’età precristiana, «la vita e la morte non erano entità separate, quanto più due momenti di un ciclo continuo di esistenza che recava stretti legami con l’anno agrario. Si riteneva che i morti, al di sotto della terra, facessero la guardia ai semi permettendo loro di germogliare»; dunque, ingraziarseli e assicurarsi il loro aiuto era il miglior modo per avere la garanzia di un raccolto abbondante nella stagione estiva. «Due volte all’anno, in autunno e in primavera, i popoli stanziati nell’odierna Polonia onoravano i loro morti portando sulle loro tombe offerte di cibo e bevande. Se non l’avessero fatto, gli spiriti dei defunti si sarebbero indignati e avrebbero reso la terra sterile e improduttiva».

Naturalmente, l’avvento del cristianesimo comportò una drastica riscrittura del modo in cui rapportarsi all’Oltretomba; e tuttavia, come spesso capita, i Polacchi furono lesti nell’abbandonare il loro vecchio credo, ma molto più restii nel dire addio a tutti quei piccoli riti para-religiosi che sapevano di affetto, di concretezza e di vita quotidiana. Per esempio, continuarono ancora per un bel po’ a colorare uova decorate da offrire in omaggio ai defunti della famiglia (che poi, se ci pensate, è la stessa cosa che facciamo noi il 1° novembre – solo che ai nostri morti regaliamo mazzi di crisantemi). In anni recenti, scavi archeologici condotti nel villaggio di Ostrówek, sull’isola Pasieka, hanno portato alla luce sette piccoli oggetti di pietra, scolpiti a ricreare l’inequivocabile forma di un uovo di gallina, che erano stati illuminati con stessi identici motivi decorativi che oggi associamo alle uova di Pasqua della tradizione slava. Erano stati deposti all’interno di sepolture risalenti a un periodo ricompreso tra il X e il XIII secolo; e vien francamente difficile immaginare che quegli ovetti scolpiti nella pietra in modo tale da poter sopravvivere ai secoli fossero stati inseriti nel corredo funerario di zio Peppino perché la Pasqua era la sua festa preferita. Chiaro è che, se erano stati messi lì, è perché nel pieno Medioevo ancora riecheggiava la consuetudine antica di omaggiare i propri defunti con questo omaggio benaugurale.

E, involontariamente, anche la Vita di santa Edvige, composta sul finire del XIII secolo, ci testimonia indirettamente quest’usanza. Conoscendo il contesto culturale in cui ci si muove, vien da dire che non è certo un caso se, in occasione della Pasqua, delle piccole uova colorate erano state poggiate sulla tomba della santa. Chiaramente, siamo di fronte a una fase intermedia di quel processo secolare di inculturazione che trasformò le uova benaugurali degli slavi precristiani in un simbolo festivo della resurrezione evangelica.

E questa, per capirci, non è una supposizione mia. Lo dicevano espressamente anche i preti medievali: a partire dal XV secolo, si intensificano gli scritti in cui i sacerdoti esortano i loro parrocchiani ad abbandonare la consuetudine pagana di offrire cibo ai morti in occasione della Pasqua. In questa festa (non a torto si obiettava), l’attenzione dovrebbe essere rivolta primariamente su temi ben più grandi: nessun problema se qualcuno voleva decorare la sua casa con i graziosi ovetti della tradizione – ma per cortesia, niente cose strane sulle tombe dei defunti.

I religiosi furono ascoltati? Beh, mica tanto: assumendo via via forme sempre più cristianizzate, il costume di onorare i propri morti nel periodo di Pasqua restò vivo fino a tutto l’Ottocento. «Solitamente nel terzo giorno di Pasqua, cioè nel martedì di Pasqua» (che non a caso è il giorno in cui l’agiografo colloca il miracolo di santa Edvige!), «il popolino portava al cimitero uova, pagnotte, mele e qualcosa da bere. Una tovaglia bianca era poggiata sulla tomba, dopodiché la ‘tavola’ veniva imbandita: venivano accesi dei lumi votivi e, alla presenza del sacerdote, i convenuti recitavano preghiere per i propri morti. Al termine della giornata, il cibo veniva solitamente donato ai poveri; o, più raramente, veniva ripartito in parti uguali tra tutti coloro i quali avevano preso parte al rito».

Un modo un po’ inconsueto per festeggiare la Pasqua, che probabilmente stride se accostato a quelli cui siamo abituati oggi. Eppure, se la Pasqua cristiana promette resurrezione dopo la morte… a ben vedere, che c’è di più simbolico che una gita al cimitero, per commemorare e concretizzare questa promessa?


Per approfondire: Sophie Hodowowicz Knab, Polish Customs, Tradition and Folklore (Hippocrene Books, 1996)

14 risposte a "Offrire uova ai propri morti: quell’antica tradizione slava dietro la moderna Pasqua"

  1. Avatar di ac-comandante

    ac-comandante

    Per me, le uova (di gallina come di cioccolato) sono taref

    Qui in zona sulle uova di Pasqua gira un proverbietto senza fondamento: pioggia sulle palme, sole sulle uova. Ho visto: quest’anno insulto al governo ladro ambo i giorni! Almeno le coccole con “la mia ragazza” sono state più piacevoli col sottofondo della pioggia.

    Questa: «il popolino portava al cimitero uova, pagnotte, mele e qualcosa da bere. Una tovaglia bianca era poggiata sulla tomba, dopodiché la ‘tavola’ veniva imbandita: venivano accesi dei lumi votivi e, alla presenza del sacerdote, i convenuti recitavano preghiere per i propri morti. Al termine della giornata, il cibo veniva solitamente donato ai poveri; o, più raramente, veniva ripartito in parti uguali tra tutti coloro i quali avevano preso parte al rito» mi ricorda il rito hindu del “cibo prasad”: offerto alla divinità del posto ma consumato dagli stessi devoti. Ho un amico, softwarista di professione, che vive in Tamil Nadu e l’ha visto fare: lui è un “ateaccio zozzo” e bestemmiatore seriale ma la moglie, una Tamil, stesso mestiere del marito, ogni tanto va coi figli di primo letto a fare visita a un tempietto di Shiva (versione hindu del non ci credo ma male non fa). Proprio vero che al cuore non si comanda: dopo tre disgraziate, l’amico ha trovato l’amore corrisposto in una vedova Tamil con due figli! E in casa la personalità forte è lei…

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    1. Avatar di Sconosciuto

      Anonimo

      Ṭaref perché non ti piacciono?

      I Tamil non sono in larga maggioranza indù? Il non ci credo ma male non fa è riferito solo alla sporadicità del culto?

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      1. Avatar di ac-comandante

        ac-comandante

        Taref perchè sono diabetico: come gli Ebrei, devo stare attento a cosa ho in tavola, anche se la mia kasherut è diversa dalla loro. Il diabetologo mi ha detto di evitare, oltre ai dolci, anche le uova vere.

        Sì, la moglie del mio amico è hindu, anche se parecchio “all’acqua di rose”. Sì, la frase è proprio riferita al suo modo di praticare. Lei e il mio amico si sono sposati solo civilmente: dato che lui, come si dice dalle mie parti, “non aveva alba” di diverse loro usanze, è stata la sorella a mettere il sindur all’attaccatura dei capelli della signora (di suo, poi, la signora di solito il sindur non lo applica, forse lo fa le poche volte in cui va in visita al tempietto; quante volte abbia trascinato anche il marito, non so).

        PS: scrivo hindu, come è scritto in inglese, perchè mi è stato spiegato che le due sillabe hanno entrambe l’accento, si dovrebbe pronunciare hìndù, facendo sentire leggermente la h iniziale (non so leggere il devanagari, mi è stato spiegato a voce). E non ho capito gli hindu come si definiscano fra di loro, il nome di ciò che chiamiamo “induismo” è Sanatana Dharma, armonia, configurazione, disposizione… eterna. Sempre con un accento su ogni sillaba.

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  2. Avatar di Francesca

    Francesca

    nelle religioni slave d’età precristiana, «la vita e la morte non erano entità separate, quanto più due momenti di un ciclo continuo di esistenza che recava stretti legami con l’anno agrario. Si riteneva che i morti, al di sotto della terra, facessero la guardia ai semi permettendo loro di germogliare»; dunque, ingraziarseli e assicurarsi il loro aiuto era il miglior modo per avere la garanzia di un raccolto abbondante nella stagione estiva. «Due volte all’anno, in autunno e in primavera, i popoli stanziati nell’odierna Polonia onoravano i loro morti portando sulle loro tombe offerte di cibo e bevande. Se non l’avessero fatto, gli spiriti dei defunti si sarebbero indignati e avrebbero reso la terra sterile e improduttiva».„

    Praticamente… una catechesi molto concreta sulla Comunione dei Santi 🤫

    🤔 Cioè, escludendo esagerazioni e superstizioni varie (che alla fine non si sa dove arrivano – nella testa della singola persona) …Mi pare comunque una modalità che, se ben riveduta e corretta, mette bene l’accento sulla concretezza del legame tra tutte le persone, vivi e morti. L’idea cristiana della “grande famiglia” dei santi, sempre “in contatto” (nel nostro caso: per Disegno e Grazia di Dio), lì in pratica c’è già. Forse oggi noi sembriamo giunti, in generale, all’estremo opposto… con una visione troppo “spiritualizzata”… Laddove spiritualizzata, alla fine, significa debole e svuotata nel legame con la vita quotidiana della maggior parte dei cristiani/cattolici. Per non dire direttamente: una realtà del tutto ignorata.

    Grazie Lucia. Un’altro (l’ennesimo) racconto molto apprezzato. L’introduzione con la storia del bambino poi (vera o no) per me è eccezionale, piena di spunti, tra racconto di vita, miracolo e richiamo di simboli… Sulla collaborazione tra “i due mondi” (che in realtà è uno solo, appunto, nella prospettiva cattolica della grande famiglia – che, per la cronaca, e lo so che tu lo sai, non include solo i fedeli cattolici… Anzi, a volte, con grande tristezza essi sono esclusi)

    Insomma, GRAZIE 🧡

    E se anche quelle uova dell’immagine per caso arrivano da Bing 😁 …Complimenti. Troppo bella pure la foto.

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    1. Avatar di Francesca

      Francesca

      Ho riguardato la foto e rettifico. No. Non può venire da Bing. Troppi dettagli che (almeno al momento) l’AI del programmino Bing non può “sapere”

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    2. Avatar di Ajeje Brazorf

      Ajeje Brazorf

      Però il volersi ingraziare i morti di cristiano ha poco: la comunione dei santi prevede proprio comunione (imperfetta, finché non si è nella celeste) tra la Chiesa peregrina, quella purgante e quella celeste… mentre nei riti precristiani si agiva perché si riteneva che fossero se non ostili indifferenti alle nostre sorti, in mancanza dei riti stessi. Un do ut des, insomma ben diverso dalla preghiera di intercessione.

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      1. Avatar di Francesca

        Francesca

        Mi dispiace se ho indotto a pensare che il mio messaggio volesse dire che il credo pagano e il credo cristiano fossero la stessa cosa. Avevo comunque specificato “se ben riveduta e corretta” .

        In ogni caso. Il senso del mio messaggio stava nel guardare il quadro più ampio. Antropologico, culturale, e anche… La progressiva comprensione nel “viaggio spirituale” dell’umanità.

        Quei popoli avevano individuato, a modo loro e nella loro interpretazione: >> l’interscambio.
        Quei popoli avevano individuato a modo loro e nella loro interpretazione:
        >> che potevano avvenire anche cose negative (causate da cattivi comportamenti dei vivi) che avevano conseguenze su tutta la collettività
        Pensa un po’ , in agricoltura, a cosa significa che un intero raccolto vada bene o male.

        Un chiarimento sulla Comunione dei Santi cattolica.
        Nelle parole di Paolo VI. (e mi scuso con tutti per la lenzuolata)

        “Regna tra gli uomini, per arcano e benigno mistero della divina volontà, una solidarietà soprannaturale, per cui il peccato di uno nuoce anche agli altri, così come la santità di uno apporta beneficio agli altri. In tal modo i fedeli si prestano vicendevolmente l’aiuto per conseguire il loro fine soprannaturale
        (…)
        Seguendo le orme di Cristo, i fedeli cristiani sempre si sono sforzati di aiutarsi vicendevolmente nella via che va al Padre celeste, mediante la preghiera, lo scambio di beni spirituali e la espiazione penitenziale;
        (…) È questo l’antichissimo dogma della Comunione dei Santi, mediante il quale la vita dei singoli figli di Dio in Cristo e per mezzo di Cristo viene congiunta con legame meraviglioso alla vita di tutti gli altri fratelli cristiani nella soprannaturale unità del corpo mistico di Cristo, fin quasi a formare una sola mistica persona.
        In tal modo si manifesta il “tesoro della chiesa”.
        Infatti, non lo si deve considerare come la somma di beni materiali, accumulati nel corso dei secoli, ma come l’infinito ed inesauribile valore che le espiazioni e i meriti di Cristo hanno presso il Padre ed offerti perché tutta l’umanità fosse liberata dal peccato e pervenisse alla comunione con il Padre;
        è lo stesso Cristo redentore, in cui sono e vivono le soddisfazioni ed i meriti della sua redenzione. 
        Appartiene inoltre a questo tesoro il valore veramente immenso, incommensurabile e sempre nuovo che presso Dio hanno le preghiere e le buone opere della beata Vergine Maria e di tutti i Santi, i quali, seguendo le orme di Cristo Signore per Grazia Sua, hanno santificato la loro vita e condotto a compimento la missione affidata loro dal Padre; in tal modo, realizzando la loro salvezza, hanno anche cooperato alla salvezza dei propri fratelli nell’unità del Corpo mistico.
        (…) L’unità dunque di coloro che ancora sono peregrinanti sulla terra con i fratelli che dormono nella pace di Cristo, non viene assolutamente interrotta, anzi secondo la dottrina perenne della Chiesa, viene rafforzata attraverso la comunione dei beni spirituali. Per il fatto che i beati sono uniti più profondamente a Cristo, rendono la Chiesa più santa e contribuiscono al suo accrescimento ed alla sua edificazione (cf.1Cor 12,12-27). Raggiunta la patria e alla presenza del Signore (cf. 2Cor 5,8), essi per mezzo di Lui, con Lui ed in Lui non cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti che per mezzo dell’unico mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù (cf. 1Tm 2,5), hanno conseguito sulla terra, servendo in tutto al Signore e completando nella loro carne ciò che manca alle tribolazioni di Cristo in vantaggio del corpo di Lui, che è la Chiesa (cf. Col 1,24). La nostra debolezza, allora, riceve non poco aiuto dalla loro fraterna sollecitudine”.

        Estratto da:
        Costituzione Apostolica Indulgentiarum Doctrina
        Paolo VI, 1967

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        1. Avatar di Francesca

          Francesca

          @Ajeje

          Visto il tuo riscontro, aggiungo.
          Evitando di credere in automatismi, evitando credenze in formulette pronunciate come “magiche” anziché devozionali, ed evitando atteggiamenti da transazione commerciale… Dobbiamo comunque osservare che la dottrina cattolica comprende anche l’elemento necessario del “fare” da parte del fedele.
          Ad esempio, una domanda ricorrente nel sito Amici Domenicani (all’esperto frate, sacerdote e teologo domenicano) è “perché dobbiamo pregare per ottenere grazie?” – laddove il pregare non è soltanto pregare, ma in diversi casi può essere anche più opportunamente accompagnato da momenti di digiuno e opere di carità.
          La risposta cattolica di solito è all’incirca, in soldoni: noi preghiamo pure per ottenere le grazie che “già ci spettano”, ma che possono rimanere lì, come bloccate, se non ci “sintonizziamo” con Dio (e con la grande famiglia dei Santi) attraverso la preghiera.

          Altro elemento della fede cattolica sono le cosiddette opere di misericordia – definite “corporali e spirituali” – che, anche quelle, nella nostra fede, tengono “attivi” i “contatti” sia orizzontali che verticali.

          Insomma, se andiamo ad analizzare bene la faccenda… Spesso la questione diventa più che altro il discernimento tra atteggiamenti pagani e atteggiamenti cristiani… Molto più che un’azione in sé e per sé. Ché anche un cristiano potrebbe comportarsi “da pagano”, al di là del Credo che dice di professare. Mentre, chissà… tra certi pagani poteva esserci qualcuno guidato da Dio che capiva certe realtà al di là del paganesimo …Mi pare che S. Agostino dicesse qualcosa del genere (ma non sono sicura).

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          1. Avatar di Ajeje Brazorf

            Ajeje Brazorf

            Il fare (compresa la preghiera di intercessione) è funzionale anche a disporsi ad accogliere la grazia, fosse anche quella non attesa e non impetrata: “Signore non hai guarito mia madre, ma ho visto in lei una serenità e un accoglimento della tua volontà mai visti prima”.

            E preghiamo anche per capire quale sia la sua reale volontà: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26,39). Quindi sintonia non solo nel chiedere ma anche nell’accettare. E colpisce vedere come grandi santi, come San Pio da Pietrelcina, usassero verbi come «sopportare» nel riferirsi all’accettazione della volontà divina (spesso per noi dolorosa, necessariamente dolorosa per avvicinarci a Lui e svuotarci dalle nostre zavorre di affezione al peccato), che oggi nessuno cerca di usare, per non trasmettere un’idea di un Dio insensibile, mai fatta propria da quei santi ovviamente.

            Tra gli atteggiamenti pagani di cui parlavi c’è senz’altro proprio la non accettazione: il prendersela con Dio se non agisce da mago della lampada che esaudisce i desideri (disordinati, e come tali disfunzionali, fossero anche in sé apparentemente buoni, come la guarigione di un caro).

            Tu citavi padre Bellon, io farò riferimento a don Leonardo Maria Pompei: in una sua catechesi audio su di una rivelazione privata solo uditiva ad una donna (non ricordo se approvata o meno), che – se autentica – poté ascoltare per volontà divina la testimonianza di una sua ex collega morta per incidente e dannata (dannata che ovviamente non lesinò insulti alla donna, dicendo che ne avrebbe proferiti molti di più se non fosse stata costretta dalla volontà divina a limitarsi a ciò per cui era stato reso possibile quel contatto), ricorda che è possibile che in determinati casi Dio non guarisca un peccatore impenitente, nonostante le suppliche dei suoi cari santi, perché conoscendo il suo cuore e sapendo che è ormai refrattario alla grazia per volontà “invincibile” – come fu il caso di Giuda dopo il tradimento, unico dannato certo dichiarato tale dalla Chiesa nel Concilio di Trento, che disperò il perdono – per evitargli ulteriori sofferenze all’Inferno, dovute agli ulteriori peccati che compirebbe se restasse in vita.

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  3. Avatar di Ajeje Brazorf

    Ajeje Brazorf

    Grazie come sempre per l’accurata analisi.

    Vedo che preferisci nettamente resurrezione a risurrezione: ti propongo quindi un messaggio che ha confrontato le voci presenti nei vari dizionari disponibili in Rete:

    https://www.achyra.org/cruscate/viewtopic.php?p=76374#p76374

    Come puoi vedere la stragrande maggioranza di essi preferisce risurrezione: il DOP, il De Mauro, il Gabrielli, il Sabatini Coletti e il Treccani. La pensa come te il Garzanti, mentre il DiPI non si sbilancia riportandole entrambe senza esplicitare preferenze.

    Il GDLI riporta tutte le seguenti varianti attestate nei secoli, oltre alle solite due: resorezióneressurezióneressurressióneresurecióneresuresióneresurexióneresurrectióneresurressióneresurrezzionerisurezziónerisurressióne e risurrezzióne.

    Ciò che a mio avviso più dovrebbe farci propendere per risurrezione è il suo uso in tutti i principali testi liturgici della Chiesa cattolica italiana: il terzo Messale Romano, i 4 volumi della Liturgia delle Ore e i Lezionari festivi e feriali; ma anche nei testi relativi a singoli riti di Sacramenti e sacramentali si trova sempre risurrezione, come ad es. quello del battesimo dei bambini, del matrimonio o delle esequie.

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Uh, che commento interessante! Onestamente non avevo mai riflettuto sulla cosa, e a questo punto aggiungo anche un altro elemento: se, a quanto pare, i dizionari della lingua italiana preferiscono “risurrezione”, l’italiano-medio sembrerebbe avere la tendenza a scriverlo come me: provando a fare una ricerca su Google, “resurrezione” mi rimanda a 8.760.000 risultati e “risurrezione” a 6.360.000. Non moltissimo scarto, ma insomma.

      Riflettendoci un po’ su, penso che per me sia probabilmente un latinismo/medievalismo o un inglesismo: nei documenti storici e nel testi inglesi che leggo per studio lo vedo sempre scritto con la E ed evidentemente ho sviluppato anch’io l’abitudine. Chissà se, nell’arco di qualche decennio, “resurrezione” finirà per soppiantare il termine ecclesiastico 👀

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      1. Avatar di Ajeje Brazorf

        Ajeje Brazorf

        Sì, è senz’altro un latinismo preferire re- a ri-, come dimostrano le 10 varianti storiche con re- contro le sole 4 con ri- riportate nel GDLI (Grande Dizionario della Lingua Italiana), da me già citate, dizionario pensato proprio – come saprai – per riportare tutte le attestazioni più illustri di un dato lemma, anche di epoca medievale:

        re-: resorezióneressurezióneressurressióneresurecióneresuresióneresurexióneresurrectióneresurressióneresurrezione e resurrezzione,

        ri-: risurezziónerisurressióne, risurrezionerisurrezzióne.

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