Questa storia potrebbe avere come sottotitolo: Di quando tuo marito è così crudele da far passare in secondo piano il fatto che sei scema.
Perché, ecco, lungi da me il voler dare qualsiasi possibile attenuante all’assassino, però va detto: una donna minimamente previdente si sarebbe quantomeno posta il problema. E se poi, oltre alla previdenza, avesse anche avuto un briciolo di furbizia, sicuramente sarebbe stata in grado di trovare un luogo più sicuro in cui occultare compromettenti oggetti magici.
Ma ecco: invece no.
La nostra amica, che evidentemente era una di quelle donne che hanno eccessiva fiducia nella fortuna, si era limitata a prendere quell’arnese e a nasconderlo nella cassapanca della camera da letto.
Certo, aveva avuto cura di infilarlo tra le lenzuola ripiegate e di seppellirlo sotto cumuli di vestiti.
Certo, aveva probabilmente pensato che, tanto, era lei l’unica in famiglia a metter le mani in quella cassapanca: il marito non si occupava mica dei lavori domestici.
Insomma, non è che fosse stata totalmente sprovveduta, ma non aveva avuto l’acume necessario per mettere in conto l’imprevisto, l’imponderabile. Che però s’era verificato, siccome la sfortuna ci vede benissimo.
Le versioni della leggenda variano, a questo punto, divertendosi a immaginare imprevisti domestici di varia natura.
In un caso, un marito insolitamente volenteroso decide di sorprendere la moglie facendole trovare il letto rifatto e va a prendere dalla cassapanca le lenzuola fresche di bucato.
In un altro caso, è la moglie ad aver bisogno di recuperare le lenzuola in un momento in cui il marito si trova in casa. Cerca a quel punto di farlo allontanare con una scusa ma lo fa con un’insistenza tale da insospettire lo sposo, che a questo punto inizia a domandarsi quale sia il segreto che la moglie sta cercando di celargli – e ovviamente si adopererà per scoprirlo.
In una terza versione della storia è la moglie, che ha appena partorito, a cadere per stanchezza in quella distrazione che finirà col costarle la vita. “Per piacere, vammi a prendere un panno pulito dalla cassapanca” dice al marito mentre, esausta, culla il bambino che non vuol smettere di piangere: impiega qualche frazione di secondo per rendersi conto di ciò che ha appena fatto, ma ormai è troppo tardi per rimediare.
Ma insomma: cosa si nascondeva in questa benedetta cassapanca?
Cos’è che il marito non doveva assolutamente vedere?
Era, in effetti, un oggetto capace di dimostrargli, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la donna aveva praticato almeno una volta la stregoneria. E proprio al fine di legare a sé l’uomo che adesso chiamava sposo!
***
La leggenda, originaria dell’Austria e citata da numerosi autori (ivi compresi i fratelli Grimm) fa riferimento a un’usanza del folklore locale di cui avevo già scritto qualcosa in questo articolo. Nelle regioni meridionali della Germania, era convinzione diffusa che le fanciulle in età da marito potessero praticare magie d’amore nella notte di sant’Andrea (quella che va dal 29 al 30 novembre), in maniera non dissimile da quanto, in altre zone d’Europa, accadeva nella notte di sant’Agnese o santa Fede.
Diversi gli espedienti da adottare, ma identico era il risultato promesso: quel rito magico avrebbe permesso alla donna di vedere per qualche istante il volto del futuro sposo – che è pur sempre una cosa utile da sapere, per individuare l’uomo a cui fare gli occhi dolci.
Nella versione austriaca, il rito da seguire era sintetizzabile come segue: nella vigilia della festa di sant’Andrea (un santo molto popolare in quelle terre), la donna avrebbe dovuto sedere a tavola fino allo scoccare della mezzanotte. Avrebbe dovuto apparecchiare per due, imbandendo il desco con le leccornie più prelibate (qui, Mani di Pasta Frolla vi propone una delle tante ricette tipiche legate a quel giorno di festa). Ed ecco: magia! Allo scoccare della mezzanotte, il futuro sposo sarebbe apparso di fronte alla donna che lo attendeva con tanta fede. Ci sarebbe stato il tempo per una cena a lume di candela, qualche convenevole, qualche informazione d’utilità pratica (insomma, la versione ottocentesca di “mi dai il numero?”). E poi, prima di sparire così com’era venuto, l’uomo avrebbe lasciato alla donna un piccolo pegno d’amore: uno qualsiasi degli oggetti che aveva con sé nel momento in cui era stato evocato dall’incanto. E la donna avrebbe dovuto conservare in eterno quel piccolo dono: se così non avesse fatto, si sarebbe spezzato quell’amore neonato che, grazie alla magia, aveva appena iniziato a esistere.
Così, insomma, diceva la tradizione.
E così aveva fatto dunque la protagonista della nostra storia, che aveva seguito scrupolosamente tutte le istruzioni, s’era seduta a tavola di fronte a mille prelibatezze, aveva atteso fino alla mezzanotte e poi aveva trattenuto il fiato quando, all’ultimo rintocco del campanile, un giovane uomo aveva preso corpo proprio davanti a lei.
A malapena aveva fatto in tempo a vederlo, ché lui le era apparso di spalle.
Era agitato, evidentemente; in fin dei conti, non fa piacere esser teletrasportati nella casa d’altri grazie a un rito magico compiuto nel cuor della notte. Aveva imprecato, in effetti, guardandosi attorno freneticamente nella stanza buia. Poi aveva afferrato il pugnale che portava legato alla cinta, aveva individuato nella penombra la figura della ragazza, le aveva urlato addosso “muori, maledetta strega!” e le aveva tirato addosso quel coltellaccio – mancandola per un soffio, grazie al cielo.
L’istante dopo, era già sparito.
Piuttosto confusa, perché non era esattamente in quei termini che si sarebbe immaginata il primo incontro col suo futuro amore, la ragazza aveva pensato che tutto sommato il rito s’era svolto correttamente. In fin dei conti, l’uomo era apparso e le aveva lasciato un pegno del suo passaggio, anche se in modi un tantino cruenti. Ma in fin dei conti, ci stava, si disse lei, che già sentiva un certo affetto crescerle nel cuore: chi è che non compie gesti avventati quando viene colto alla sprovvista?
La ragazza si rigirò fra le mani quel pugnale (un gran bel pugnale, con l’elsa decorata da ghirigori e motivi geometrici) e poi lo nascose in luogo sicuro, certa che la magia avrebbe fatto il suo corso.
Di lì a poche settimane, andando in paese, aveva sussultato nel vedere di lontano quello stesso uomo che le era apparso nella notte. Era il calzolaio del villaggio, ebbe modo di scoprire la fanciulla, le cui scarpe (chissà perché) cominciarono di lì a poco a rompersi nei modi più curiosi e improbabili. E così, tra un tacco saltato e un tallone dolorante, sbocciò l’amore tra i due giovinotti che presto convolarono a giuste nozze.
E questo potrebbe essere il lieto fine della nostra fiaba, se la tragedia non fosse appunto dietro l’angolo. Perché – ve lo dicevo iniziando questa storia – la giovanetta era stata sprovveduta, a non voler usare altri aggettivi. Giustamente, continuava a conservare il pugnale che le era stato tirato addosso (così ordinava il rito!); ma incautamente l’aveva nascosto in un luogo un po’ troppo accessibile.
E poi, la tragedia.
Una sorpresa coniugale finita male, una fatale distrazione di una puerpera assonnata, una sfortunata serie di circostanze che avevano portato il marito a interrogarsi su cosa diamine ci fosse in quel mobile che non poteva aprire: sia come sia, era successo. Il marito aveva cominciato a frugare nella cassapanca e improvvisamente s’era ritrovato tra le mani il pugnale che aveva posseduto un tempo. Quello di cui lui stesso aveva inciso l’elsa e che avrebbe riconosciuto tra un milione; quello che gli era stato tanto caro e che purtroppo aveva perso per sempre, anni prima, nel combattere quella strega maledetta che anni prima l’aveva attirato con una fattura. La sua unica consolazione era l’esser riuscito a ucciderla sul colpo: o quantomeno, era quello che lui aveva sempre pensato, nella convinzione che fosse stata la morte della megera a liberarlo dalle maglie della sua magia perniciosa, riportandolo in un lampo a casa propria.
Ma com’era possibile che adesso quell’oggetto fosse finito tra gli averi della sua sposa, che oltretutto glielo teneva nascosto?
Incredulo, l’uomo tornò da sua moglie stringendo il pugnale nelle mani di cui non riusciva ad arrestare il tremito. Perentoriamente, le chiese spiegazioni; e lei, colta alla sprovvista, non seppe inventarsi una risposta diversa dalla verità. In fin dei conti – pensò – s’era trattato di una magia a fin di bene: no? Loro due si erano effettivamente conosciuti e innamorati e adesso erano felici. Forse suo marito le sarebbe persino stato grato per aver agevolato questo incontro: no?
Ecco, no.
Evidentemente no.
Evidentemente, il protagonista maschile di questa storia era un tipetto piuttosto manesco e con la pugnalata facile: quando ebbe sentito la risposta di sua moglie, la fissò per qualche secondo mentre il suo sguardo si inondava di uno sdegno disgustato ed ebbe per lei solo poche parole: “maledetta! Sei tu la strega!”.
E così (senza darle modo di difendersi, senza darle nemmeno il tempo d’una risposta), il marito strinse le sue dita attorno all’elsa del pugnale. E questa volta lo conficcò dritto dritto nel cuore di sua moglie, per essere sicuro di non commettere lo stesso sbaglio della volta precedente.
***
Una storia senza lieto fine che ci mette in guardia dalle conseguenze di ciò che può accadere quando, con leggerezza, si portano avanti riti di cui non si conosce la portata scambiandoli per giochi giovanili o superstizioni innocue. Una delle tante cautionary tales sorte, nell’Ottocento, attorno a quelle pratiche di divinazione fai-da-te per cui, all’epoca, le ragazzine andavano matte (e che invece toglievano il sonno ai genitori). Qui ve ne raccontavo un’altra, grossomodo sullo stesso tenore, a proposito delle magie d’amore che, in area anglosassone, si compivano nella notte di Halloween.
Meglio accontentarsi di festeggiare sant’Andrea in modi più devoti e meno occulti: sembra essere questa la morale di questa triste storia. E, a tal proposito, Mani di pasta frolla ha in serbo per voi qualche proposta culinaria, per festeggiamenti… a rischio zero.
gianni
Mah, alla fine hanno ragione nei libri gialli, sempre disfarsi dell’arma 😀
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Lucia
Eh, lì sbarazzarsi non si poteva pena lo spezzarsi della magia.
Però ecco, magari si poteva custodire questo benedetto pugnale sotto le assi del pavimento o in qualche posto un po’ meno accessibile… ;-P
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gianni
Eh ma l’asse del pavimento prima o poi … oppure bastava scegliere un altro marito, che forse era meglio 😛
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Lucia
Eh, ma io (nella mia personalissima lettura di questa storia) mi immagino che la poverina sia andata ad accasarsi con quel marito proprio a causa della magia che aveva fatto.
Ormai la magia aveva funzionato, era destino che i due si sposassero (o, più prosaicamente: ormai la magia aveva funzionato, lei sapeva per certo che quello sarebbe stato il suo grande amore e quindi l’ha sposato ignorando i segnali d’allarme, che pure c’erano stati fin dal primo momento).
Se non avesse fatto quel rito, secondo me, avrebbe avuto buone chance di non interessarsi mai al calzolaio manesco e di finire sposata a tutt’altra persona 😛
(Ma questa è una mia interpretazione personale eh, la storia non lo lascia necessariamente intendere!)
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gianni
E’ una interessante chiave di lettura, e che mi fa pensare al detto chi è causa dei suoi mali, beh in questo caso non fa in tempo a piangere se stesso…
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Elisabetta
Praticamente ogni mese c’era una festa in cui si poteva vedere il futuro sposo o attirare il matrimoni…6/10, 31/10, 25/11, 29/11, 24/12, 21/1, poi mi sa anche 21/ 3 e 24/6 di sicuro qualcosa c’era.
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Lucia
E c’era anche il 24/4 😂
Quando si suol dire l’organizzazione 😜
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