Qualcuno potrebbe dirmi: “ma è mai possibile che ‘ste donne del passato non avessero niente di meglio da fare che trascorrere l’inverno a operare riti di divinazione per scoprire il nome del futuro sposo?”.
Domanda legittima: a leggere gli almanacchi del tempo che fu, si direbbe che la caccia al marito fosse l’attività principale della giovinetta-media lungo tutto l’arco dei mesi freddi. Basterebbe limitarsi alle usanze di cui ho già parlato su queste pagine per farsi venire il capogiro: a metà strada tra la magia e la devozione (come spesso capita per le tradizioni popolari di un tempo), rituali per donne in cerca di marito erano attuati nel giorno di santa Fede, nella notte di Halloween, durante i festeggiamenti per santa Caterina, alla vigilia del giorno di sant’Andrea.
“Ma davvero non avevano niente di meglio da fare, ‘ste ragazze di un tempo?”, potrebbe legittimamente dire qualcheduno. E io risponderei: mah, in effetti probabilmente no. Nel senso che la ricerca dell’anima gemella, nella società rurale del passato, doveva realmente essere una delle principali attività cui dedicarsi nei freddi mesi dell’inverno. Il lavoro nei campi era fermo: dunque, c’era molto più tempo a disposizione. E l’abitudine di radunarsi nelle stalle coi vicini di casa, per far passare il tempo nelle lunghe sere invernali, agevolava ovviamente la missione di fare nuove conoscenze.
Quindi, sì: nel passato contadino, era perfettamente plausibile che le ragazze da marito considerassero l’inverno il momento propizio da dedicare alla caccia del futuro sposo. E se il futuro sposo tardava a manifestarsi… beh: non restava che cercare un santo a cui votarsi.
***
Il santo del giorno è una “lei”, a dire il vero.
Martire romana uccisa in odium fidei a cagione della sua castità (secondo la leggenda, fu denunciata come cristiana da un pretendente che aveva deciso di mandare in bianco), santa Agnese fu considerata fin dai primi secoli una speciale protettrice di tutte le ragazze. In virtù di ciò, il Messale ad usum Sarum (quello che, nel Medioevo, scandiva il calendario liturgico delle isole britanniche) ordinava che, nella festa di sant’Agnese, venisse letto il passo evangelico contenente la parabola delle vergini.
Non stupisce, a questo punto, che le vergini in cerca di marito abbiano cominciato a considerare sant’Agnese loro patrona. Nelle isole britanniche (là dove, appunto, il Vangelo del giorno sottolineava con particolare forza l’associazione tra la santa e le future spose) nascono e si sviluppano così numerose tradizioni a scopo matrimonio, legate alla festa della santa. Tradizioni numerose e diverse, ma tenute assieme da un unico collante: e cioè la convinzione che sant’Agnese, mossa a pietà da una preghiera devota, avrebbe concesso alle ragazze da marito di vedere in sogno il volto del loro futuro sposo. Che è pur sempre una cosa utile da sapere, per capire a chi bisogna fare gli occhi dolci.
Nel 1621, dando alle stampe il suo The Anatomy of Melancholy, Robert Burton descriveva per esempio una tradizione popolare in uso in diverse zone dell’Inghilterra. Alla vigilia del giorno di sant’Agnese (cioè, alla sera del 20 gennaio), le ragazze da marito che volevano beneficiare del “miracolo” dovevano prendere la scatola degli spilli che usavano per il cucito e svuotarla lentamente, uno spillo alla volta, recitando ininterrottamente una sequela di Pater Noster. L’ultimo spillo rimasto nella scatola, l’avrebbero puntato invece nella manica della loro camicia da notte: dopo aver compiuto questo rito, se ne sarebbero andate a letto, certe di sognare il viso del loro futuro sposo.
Più complessi i rituali che venivano posti in essere in altre zone d’Inghilterra. Nello Yorkshire, le ragazze nubili che volevano ottenere una grazia da sant’Agnese dovevano astenersi dal cibo, dal bere e addirittura dal parlare (!) per tutta la vigilia della festa. Era consuetudine che, in quel giorno, esse si ritrovassero con altre amiche per preparare assieme, in completo silenzio, una torta quasi identica a quella, con analoga funzione, che ho già descritto parlando della festa di santa Fede. Proprio una fetta di quella torta sarebbe stata l’unico pasto delle ragazze, quel giorno: l’avrebbero mangiata poco prima di andare a letto, certe di essersi guadagnate il miracolo promesso, grazie al loro digiuno.
Decisamente più sfidante del digiuno era il rito che le ragazze compivano nel Northumberland. Dopo aver fatto rassodare un uovo, le giovani lo tagliavano in due, toglievano il rosso d’uovo, riempivano di sale la cavità così venutasi a creare e poi mangiavano coraggiosamente il tutto (masticando addirittura il guscio! assicurano alcune fonti).
Altre riportano invece la poesiola che le ragazze recitavano, a mo’ di preghiera, subito prima di addormentarsi. “Fair st. Agnes, play the part, and send to me my own sweetheart” dicevano i primi versi, prima di fissare alcuni paletti: “not in his best or worst array, but in the clothes he wears every day”. Così che “that to-morrow I may him ken, from among all other men”.
Vale a dire: sant’Agnese, fai il tuo dovere e permettimi di vedere il volto del mio amore – ma proprio così com’è nella vita di ogni giorno, senza idealizzarlo in un prodotto onirico, sennò come faccio poi a riconoscerlo?
Ma non potrei concludere questo excursus senza citare i versi di una poesia giustamente passata agli annali per la bellezza della storia che racconta. Sto parlando del poemetto che John Keats ha dedicato a The Eve of St. Agnes, facendo muovere tutte le vicende dalla tradizione che ho appena citato. Recitano infatti i versi:
They told her how, upon St. Agnes’ Eve,
Young virgins might have visions of delight,
And soft adorings from their loves receive
Upon the honey’d middle of the night,
If ceremonies due they did aright;
As, supperless to bed they must retire,
And couch supine their beauties, lily white;
Nor look behind, nor sideways, but require
Of Heaven with upward eyes for all that they desire.
E lei, Madeline, la giovane protagonista del nostro poema, decide di ottemperare al rituale. Troppo forte è in lei il desiderio di sapere se riuscirà mai a convolare a giuste nozze con Porphyro, un giovane che lei ama follemente (ricambiata!) ma che è purtroppo un nemico giurato della sua famiglia. È infatti in un clima di rivalità tra clan familiari, à la Romeo e Giulietta, che nasce e si sviluppa questa travagliata storia d’amore.
Porphyro conosce le intenzioni di Madeline, e con un escamotage riesce a introdursi nella sua camera da letto poco prima che la ragazza si ritiri per la notte. Quando lei s’addormenta, lui esce dal guardaroba in cui s’era nascosto e si infila nel letto, cominciando dolcemente a carezzarla. Lei si risveglia, ma lui la convince di stare in realtà ancora dormendo (“è solo il sogno che hai chiesto a sant’Agnese!”) e con questo stratagemma riesce a convincere la povera Madeline a fare ciò che giammai la brava ragazza avrebbe fatto in condizioni normali: cioè, a concederglisi.
Secondo me, ‘sta roba si configura tecnicamente come “stupro” e i genitori di Madeline hanno tutta la mia solidarietà per l’aver cercato di tenere lontana la figlia da ‘sto bruto, oltretutto falso e manipolatore. Incomprensibilmente, Keats e i suoi contemporanei sembrarono invece ritenere molto dolce questo affettuoso (?!) escamotage. Ché Madeline, ormai compromessa, trovò finalmente il coraggio di fare ciò che in cuor suo voleva (?), ma che diversamente mai avrebbe fatto: cioè scappare di casa, dire addio alla sua famiglia e vivere una vita umile ma felice con Porphyro, lontano dalle limitazioni e dalle faide di palazzo.
A mio giudizio, non esattamente un happy ending; eppure questa trama entusiasmò i cuori dei lettori e (dei letterati!) dell’Inghilterra ottocentesca. Furono in particolar modo gli artisti preraffaelliti a farsi affascinare dalla storia, che racchiudeva in sé molti dei temi più cari al movimento (le atmosfere medievali e leggendarie; la magia; l’amore tormentato; quel pizzico di sensualità che non guasta). Davvero numerose sono le opere che furono ispirate da questi versi (qui ne trovate una rassegna commentata), destinate a far bella mostra di sé nelle gallerie d’arte oppure a illustrare le (molte!) ristampe che il poemetto ebbe nel corso dei decenni.
Per la cronaca: tra le tante, la mia preferita è sicuramente questa, che (con quanta provocatorietà, per l’epoca!) dipinge Madeline nell’atto di svestirsi prima di andare a letto, senza sapere di essere osservata dall’amato. Suppongo che, all’epoca, fosse quanto di più pruriginoso potesse concedersi di ammirare un uomo rispettabile – e tuttavia, io mi perdo ogni volta in questo quadro ammirando, più che altro, la ricchezza dei dettagli.
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