Il problema di programmare i post con largo anticipo si può sintetizzare come segue: in origine, l’incipit del pezzo che state leggendo suonava come: “chiudete gli occhi. Riuscite a sentirla, quest’atmosfera frizzantina nell’aria? Sotto i raggi ormai tiepidi del sole, già si respira l’arrivo imminente della primavera”.
Ok, cancelliamo tutto: fa un freddo boia, vi scrivo indossando quattro strati di lana e la primavera non ha l’aria di volersi far vedere. Purtuttavia, nella maggior parte dei casi, questo è il periodo dell’anno in cui si comincia davvero a percepire che qualcosa sta cambiando: le prime giornate di sole cominciano a scaldare le ossa; i piumini cominciano ad alternarsi ai cappotti più leggeri. Naturalmente, l’inverno non è ancora finito, ma si comincia ad avere il sentore che il gelo sia (letteralmente) agli sgoccioli: e infatti, la tradizione contadina diede sempre grande importanza alle feste religiose che avevano luogo in questo periodo dell’anno, attribuendo loro un valore simbolico non indifferente.
Nella maggior parte dell’Europa occidentale, fu la festa della Candelora (2 febbraio) a essere considerata lo spartiacque tra i rigori dell’inverno e l’attesa paziente della bella stagione. In Irlanda, lo stesso valore veniva attribuito alla festa di santa Brigida di Kildare (1° febbraio), ed è in virtù di quello stesso simbolismo che i Milanesi tengono da parte un panettone per affettarlo nel giorno della festa di san Biagio (3 febbraio), quasi a voler sottolineare sì, si è ancora inverno, ma basterà qualche morso per lasciarsi alle spalle tutti i ricordi di quella stagione.
E poi, c’è il caso dell’Italia del Nord-Est: quella in cui il popolo impaziente volle anticipare di qualche giorno questi riti di fine inverno e scelse di celebrarli il 25 gennaio, in occasione della festa della conversione di san Paolo.
Per antica tradizione, era proprio in quella data che i contadini cominciavano a pulire i fossi, potare gli alberi e riparare gli attrezzi agricoli per prepararsi (con la dovuta calma) alla ripresa dei lavori; e, come spesso capitava nelle feste che assurgevano al ruolo di Capodanno agrario, la data del 25 gennaio cominciò a velarsi di poteri soprannaturali. Popolarmente, i contadini sostenevano di star celebrando il quella data la festa di “san Paolo dei Segni” e ritenevano che il santo benevolo sfruttasse quel giorno per mandare ai suoi fedeli alcuni segni (per l’appunto), cioè alcuni indizi di ciò che avrebbe riservato loro il nuovo anno che stava cominciando.
Fatte salve piccoli varianti che potevano differire da zona a zona, il comune consenso era che una giornata di sole splendente, il 25 gennaio, avrebbe preannunciato un anno sereno e senza rogne. Ma attenzione: se il 25 gennaio fosse stato particolarmente freddo, venti di guerra avrebbero presto cominciato a soffiare all’orizzonte; quanto a una giornata di nebbia o di neve, essa avrebbe preannunciato carestia. E se il terreno si fosse bagnato di pioggia: beh, quella sarebbe stata la sinistra promessa di una epidemia all’orizzonte.
Certo: responsi di questo tipo hanno un’utilità relativa, limitandosi a preannunciare con vaghezza di che morte tocca morire; ma chi avesse voluto ottenere pronostici un po’ più dettagliati avrebbe comunque potuto sfruttare a suo favore i magic miracolosi poteri del giorno della festa della conversione di san Paolo. Nella notte tra il 24 e il 25 gennaio, poco prima di andare a dormire, le ragazze dell’Italia del Nord-Est poggiavano sul davanzale della finestra un piattino nel quale avevano versato un dito d’acqua. Al centro del piatto, se ne stava una monetina: se, nottetempo, la temperatura fosse scesa sottozero, la presenza della moneta avrebbe favorito la formazione di arabeschi sull’acqua giacchiata; e, dalla lettura di questi segni, le fanciulle avrebbero potuto trarre un pronostico sulla professione del loro futuro sposo, scorgendo nei ghirigori di ghiaccio un’immagine stilizzata dei suoi strumenti di lavoro.
Per i loro genitori (individui adulti senza troppi grilli per la testa, presi dall’unica preoccupazione di programmare le attività agricole per l’anno entrante), san Paolo si sarebbe cortesemente messo a disposizione per fornire previsioni meteo personalizzate. Nella notte tra il 24 e il 25 gennaio, era consuetudine esporre sul balcone dodici piccoli recipienti (cucchiaini, gusci di noce e così via dicendo…) nei quali veniva poggiato qualche granello di sale. Intuibilmente, ognuno dei recipienti rappresentava un mese: dal febbraio prossimo venturo, a quello dell’anno successivo. Al mattino successivo, i popolani avrebbero ansiosamente controllato se il sale si fosse sciolto per effetto dell’umidità notturna o se fosse invece rimasto così come l’avevano lasciato. In genere, i risultati non erano omogenei (vale a dire: capitava spesso che il sale si sciogliesse solo in alcuni punti, restando invece intonso nel recipiente poggiato qualche centimetro più in là); e da questa anomalia, i contadini ritenevano di poter trarre indicazioni preziose per il loro lavoro. I recipienti nei quali il sale s’era sciolto simboleggiavano un mese asciutto; quelli in cui il sale era ancora presente preannunciavano invece pioggia, potenzialmente accompagnata da grandinate.
Mi direte che saperlo prima è una ben magra consolazione, e naturalmente direte il vero. Ma, mettiamola così: è pur sempre una consolazione.
Francesca
Qui Nord-Est 😁
Articolo molto apprezzato da me che sono una “fan” di San Paolo (ok, anche di tanti altri santi, ma amo San Paolo in modo particolare).
Domanda: hai info più localizzate? Cioè si intende più il Friuli o più il Veneto?
(Io veneta, prov. TV)
Lo chiedo in quanto non avevo mai sentito parlare di questa tradizione, neanche nelle tivù locali che di solito dedicano qualche parola alle antiche tradizioni. Qui, nella mia zona, sono ampiamente conosciute (e ancora “praticate” come omaggio alla tradizione) : le previsioni il giorno della Candelora, le previsioni sulle faville dei falò (panevìn) dell’Epifania… Presentissima (direi come gioco) e ricordata ogni anno nelle campagne trevigiane la tradizione dell’albume d’uovo di San Pietro che tu conosci bene 😁 …
Poi, c’è anche la previsione “a breve termine” tra la domenica delle Palme e la domenica di Pasqua (trad. “Se non piove sull’ulivo piove sulle uova”).
Ecco, al momento mi vengono in mente ‘ste cose come abbastanza diffuse in tutto il Veneto. Quella di San Paolo mi giunge nuovissima.
Grazie! 😇🌾
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Lucia Graziano
Eccomi con qualche riferimento in più! 😀
Da quello che ho letto in giro, ho l’impressione che la tradizione sia diffusa, o quantomeno conosciuta:
– Nel Veronese; e qui c’è un articolo su Verona Sera che ne parla: https://www.veronasera.it/speciale/blog/san-paolo-dei-segni.html
– Nelle zone di confine tra Mantovano e Veronese; ad esempio, ecco un blog che ne parla https://mincioedintorni.com/2018/01/23/san-paolo-dei-segni-l-antica-arte-di-predire-il-meteo-con-una-cipolla/
– Nel Polesine, almeno fino alla prima metà del Novecento, perché la tradizione è citata en passant da un articolo di Cleto Corrain apparso sulla rivista Lares vol. 23 (1957).
E fondamentalmente è questo il dettaglio che mi conforta sul fatto che la tradizione sia effettivamente reale e antica (o quantomeno, nel 1957 la si conosceva già ed era già legata a quella zona). Non come l’acqua di San Giovanni che adesso ci viene spacciata come una tradizione contadina di mezza Italia, mentre in realtà è diventata di moda in anni recentissimi grazie a Internet, e in passato era praticata in pochissime zone d’Italia 😂
Accennava velocemente a questa tradizione anche Alfredo Cattabiani in “Santi d’Italia”, ed è così che l’avevo scoperta. Non mi pare citasse fonti bibliografiche particolari, ma quando ho un attimo di tempo controllo. Però, effettivamente, facendo qualche ricerca online dopo aver trovato l’articolo di Corrain, ho notato che non è una tradizione di cui si parli moltissimo. Nemmeno in Veneto, a quanto mi dici 🤔 Ma povero san Paolo! 😂
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Francesca
Grazie!!! Quindi un’usanza un po’ più veronese – vicentina – mantovana e polesana…
Seguendo le tue indicazioni (alla ricerca su google di diramazioni trevigiane o veneziane) sono giunta invece a sorpresa nelle Marche! – E adesso è tutta materia tua scoprire dove nasce “in origine” la tradizione… Che forse, (ma lo dico da ignorante) a questo punto ha seguito altra direttrice di sviluppo geografico.
Un blog marchigiano, oltre a fornire un video tutorial “per tutti”, fa ogni anno (un po’ per gioco, presumo) le previsioni col cosiddetto “barometro delle cipolle”. In pratica, anche da loro definita la notte di San Paolo dei Segni, nelle zone rurali marchigiane si ottiene il responso tramite specifico ortaggio, tagliato in quel modo che vedi nelle foto… Dopodiché: stessa procedura del sale che tu hai descritto realizzata con altri oggetti nelle aree venete.
Guarda un po’ cosa dicono loro:
“Emanuela ci ha raccontato che la tradizione esiste sin dal Medioevo e si narra che il duca di Montefeltro usasse le cipolle per prevedere il meteo. Delle fonti storiche lo testimoniano. Nella biblioteca di Urbania infatti potrete trovare un libro del Paltroni, segretario del Duca di Montefeltro che scrisse “I commentari della vita di Federico da Montefeltro” dove si parla di una guerra vinta dal duca proprio perché i suoi avversari non avevano interrogato le cipolle per le previsioni del tempo”
Fonte:
https://www.destinazionemarche.it/il-meteo-del-2022-secondo-il-barometro-delle-cipolle-di-urbania/
https://www.destinazionemarche.it/le-previsioni-del-tempo-con-le-cipolle-unantica-tradizione-di-urbania/
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Francesca
P.s. osservo, a ‘sto punto, che la cipolla sembra essere un elemento in comune (il più antico?)… tra le diverse zone…
Grazie ancora 🌾
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