Notte di santa Lucia, notte buia di paura

È la mezzanotte dell’anno e della festa di santa Lucia, che per sette ore appena mostra la sua luce. Il sole è stremato e le sue fiasche non emettono più raggi costanti, ma solo deboli bagliori. Idropica, la terra ha interamente assorbito la linfa del mondo, il balsamo che permea la natura intera. Disseccato, morto e interrato, tutto ciò che è vivo si è nascosto come un oggetto finito sotto al letto.

È con questi toni che, nelle prime decadi del Seicento, il poeta inglese John Donne descriveva la notte di santa Lucia in A Nocturnal Upon St. Lucy’s Day, Being the Shortest Day. Dopo quella prima strofa, la poesia procede in una serie di arzigogolate allegorie dal sapore alchemico che ci spiegano anche il motivo di tanta depressione: mentre scriveva questi versi, Donne era in lutto per la morte della sua amata. Ma questo è un dettaglio poco interessante, ai nostri fini, che meglio faremmo a concentrarci sui toni straordinariamente cupi con cui il poeta immalinconito sceglie di descrivere la notte di santa Lucia.

Tanta desolazione è qualcosa che non immagineremmo: non è vero?
Per noi, “il giorno di santa Lucia” è quell’allegra festicciola delle luci in salsa scandinava dove si mangiano dolcetti prelibati e i bambini intonano allegre canzoncine. Pensare che, tra tutti i giorni del calendario, John Donne abbia scelto proprio il 13 dicembre come ambientazione della poesia più depressa del suo repertorio: è qualcosa che stupisce e che lascia interdetti. Suvvia: chi è che descrive in toni così cupi quell’allegra festicciola prenatalizia?

Un qualsiasi uomo inglese del Seicento, a ben vedere.
Per noi moderni, il 13 dicembre è il giorno in cui si accendono le luci, si ricevono i regali e si aspetta il Natale in allegria. Per i nostri antenati, al contrario, la notte di santa Lucia era invece la più cupa e tetra di tutto il calendario. E lo era per davvero!, e sotto molteplici punti di vista.

Lo era, innanzi tutto, dal punto di vista astronomico.
Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia” è un proverbio che contiene una profonda verità. Prima che, nel 1582, entrasse in vigore il calendario gregoriano (creato appunto con lo scopo di correggere quello ‘scarto’ ormai venutosi a creare tra l’anno giuliano e il ciclo delle stagioni) il solstizio d’inverno cadeva una decina di giorni prima del 21 dicembre. Cadeva insomma suppergiù attorno al 13 del mese: la festa di santa Lucia, per l’appunto.

Il che parve quanto mai opportuno agli occhi dei nostri antenati: era affascinante pensare che la notte più corta dell’anno cadesse alla vigilia della festa di una santa che portava la luce fin nel nome. E, soprattutto, era confortante pensare che la benevola Lucia avrebbe disperso, coi primi raggi dell’alba, le ombre e i fantasmi che s’annidavano insidiosi nelle pieghe di quella lunghissima notte di tenebra.

È (comprensibilmente) una costante di molte culture quella di attribuire valenze speciali ai giorni di solstizio e di equinozio, con tradizioni e significati che ovviamente variano da zona a zona. Tendenzialmente, però, è ben difficile che il solstizio d’inverno sia vissuto come un allegro momento di condivisione domestica: la magia dell’inverno – diciamocelo – è gradevole solo per chi è nelle condizioni di poterla assaporare oltre i vetri senza spifferi di una casa ben riscaldata. Fino a un paio di secoli fa, l’inverno era una stagione dannatamente fredda e buia, portatrice di fame e di mille malattie: possiamo forse stupirci, nel realizzare che alla notte più lunga che ci sia furono attribuite valenze inquietanti e spaventose?

***

Proprio come, in altre culture, accadeva in occasione del primo giorno di Samhain, si cominciò a mormorare che nella lunga notte di santa Lucia si facesse particolarmente labile e sottile quel confine incerto che delimitava il mondo dei vivi dall’altro mondo.
Non erano però le anime dei defunti a tornare sulla terra. In maniera molto più inquietante, a farla da padrone erano i mostri, i lupi mannari e gli spiriti maligni: insidiosi, calavano sulla terra scivolando tra le ombre; non visti, si addentravano nei villaggi in quell’infinita notte buia; minacciosi, tentavano di intrufolarsi nelle case per corrompere, distruggere, cancellare tutto ciò che è buono.

Nel Regno Unito, si mormorava che quella di santa Lucia fosse una delle notti in cui più frequentemente le fate maligne si divertivano a rapire i figli degli umani; un crocefisso veniva allora posato sul pavimento, davanti alla porta d’ingresso o ai piedi della culla del bambino, per respingere qualsiasi entità malevola che avesse provato a insinuarsi nell’abitazione.

Più elaborate sono le usanze attestate nella Bassa Austria: in quel caso, il perimetro della casa era protetto con pentacoli disegnati col gessetto (il che, messo così, sembra una cosa molto oscura… ma prima di assumere le valenze esoteriche ha oggi, il pentacolo era un simbolo di protezione comunemente utilizzato dalla brava gente e persino associato a ideali cristiani). Erano, in questo caso, spiriti maligni ed entità infernali quelli che si cercava di tener lontani: sicché era imperativo non andare a letto, quella notte, senza aver prima recitato una preghiera in ogni singolo locale dell’abitazione, stalla inclusa.
Giocavano col fuoco, quei ragazzotti ardimentosi che sfidando il pericolo lasciavano le loro case nel cuor della notte per cercare nel cielo la Luzieschein, il bagliore di santa Lucia. Si trattava, secondo il folklore austriaco, di una misteriosa luminescenza simile a un fuoco fatuo che appariva in cielo in quella notte di prodigio e che lentamente si spostava, dondolando, tra le nubi e sopra i tetti delle case. Cangiante, avrebbe cambiato aspetto a seconda dell’uomo che in quel momento lo guardava, assumendo una forma tale da pronosticargli il suo destino.

Un dono prezioso indubbiamente, quello della conoscenza del futuro: un dono che però si riceveva a caro prezzo, tenendo conto della necessità di avventurarsi fuori casa in quella notte perigliosa, in cui streghe, dèmoni e lupi mannari si annidavano nell’ombra pronti a uccidere.
Più sicura, sotto questo punto di vista, era la preghiera che le fanciulle della Danimarca indirizzavano a Lucia prima di coricarsi. In maniera quantomai opportuna, alla santa patrona della vista veniva chiesta la grazia di vedere con chiarezza il proprio futuro. “Mostrami l’uomo di cui laverò i vestiti, di cui rifarò il letto e di cui porterò in grembo in figlio” recitavano le giovani prima d’andare a dormire – e, più genericamente, in Danimarca si credeva che tutti i sogni fatti in quella notte potessero avere un sapore profetico.

In Norvegia erano gli animali a poter profetizzare, in quella incredibile notte di magia. Chi avesse avuto il coraggio di addentrarsi nella propria stalla nella notte di santa Lucia avrebbe avuto buone chance di sentire il suo bestiame parlare nella lingua degli umani… e potenzialmente rivelare fatti sconosciuti del passato, del presente e del futuro!
Ma anche in questo caso, valeva la pena di domandarsi se realmente fosse opportuno correre questo rischio: si mormorava che molte persone avessero perso il senno dopo aver giocato a quel gioco pericoloso (…e in effetti, chi non si inquieterebbe nel ricevere lezioni di vita da una mucca?).

E in Svezia?, mi domanderete a questo punto. Quali erano le tradizioni legate a questa notte?
Eh. In quella zona, le notti invernali sono così lunghe che c’era poco di che stare allegri: se, nella vigilia di santa Lucia, streghe e spiriti maligni calano sulla terra, la minaccia è protratta per un periodo incredibilmente lungo, in quelle terre in cui la notte occupa buona parte della giornata. Sicché, in Scandinavia (e in Svezia in particolar modo), ci si andava giù pesanti con i riti da compiere per proteggere la propria abitazione. La Lussevaka era una lunga veglia a lume di candela, che avrebbe garantito protezione alla casa fintanto che un lumino avesse brillato nella notte. Per chi aveva soldi a sufficienza per potersi permettere quei costosi mezzi di protezione, anche i djävulskatter (tradizionali dolcetti aromatizzati allo zafferano, d’un giallo acceso come quello della fiamma che arde) sarebbero stati di grande aiuto per respingere i diavoli che passeggiavano tra le vie del villaggio in forma animale (gatti-diavolo, non a caso, è la traduzione italiana del nome di quel dolce).

Al giorno d’oggi, queste tradizioni si sono perse in gran parte. Persino i djävulskatter hanno cambiato nome trasformandosi nei più benevoli Lussekatter che ancor oggi l’IKEA vende nel periodo delle feste (apparentemente, senza che alcuno si chieda chi diavolo siano questi gatti di santa Lucia. Ecco appunto: sono diavoli).

Molte, le ragioni di questo mutamento.
Innanzi tutto, il fatto che quella di santa Lucia non sia più la notte più corta che ci sia: non lo è più da svariati secoli, giustamente noterete, ma occorre sempre un po’ di tempo prima di far sparire del tutto il ricordo d’una tradizione antica.
Ma soprattutto: il fatto che il periodo di Natale si sia gradualmente trasformato in una festa gioiosa a misura di famiglia ha in gran parte contribuito a far scomparire tradizioni così inquietanti e così difficilmente conciliabili con il clima della festa. Quello svedese è un esempio eclatante: resta invariato il ricordo delle candele accese e dei dolcetti da consumare in occasione di quella lunga notte, ma è completamente mutato il significato che ormai si attribuisce a questi gesti.

A voi decidere quale sia la vostra preferita tra le due versioni della notte di santa Lucia: quella moderna, (luminosa e piena d’allegria) o quella antica (cupa e spaventosa). Io, nel dubbio, ve le ho raccontate entrambe: casomai doveste trovarvi con un lupo mannaro in salotto, quantomeno non mi si potrà rimproverare di non aver avvisato.

Bibliografia: un po’ sparpagliata in questo caso, perché non mi risulta esistere una monografia interamente dedicata a questi aspetti della festa (sigh) e la maggior parte delle informazioni che ho citato sono ricavate qua e là da raccolte ottocentesche di tradizioni popolari a cura di folkloristi vari.
Molto sinteticamente, tutti questi aspetti sono però trattati da Al Ridenour in The Krampus and the Old, Dark Christmas: Roots and Rebirth of the Folkloric Devil, che resta sempre il punto di riferimento per chiunque voglia approfondire su un libro rigorosamente documentato tutti gli aspetti più oscuri del folklore natalizio.

15 risposte a "Notte di santa Lucia, notte buia di paura"

  1. franconich

    Auguri!

    Nella tradizione persiana c’è la festa di Yalda, nel giorno del solstizio (quello vero, il calendario persiano è solare e sta agganciato alle stagioni). La notte più lunga era considerata infausta e pericolosa. Attualmente è una festa familiare e raccolta non c’è più il senso di doversi proteggere dalle disgrazie.

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    1. Lucia

      Grazie mille!
      Sia per gli auguri che per l’informazione sulla notte di Yalda: interessantissimo, conosco molto poco delle tradizioni non europee, ed è sempre interessante e bello vedere come questi temi tornino in modo trasversale da cultura a cultura.

      Fra l’altro, si vede proprio come sia cambiato radicalmente il nostro modo di vivere l’inverno e tutte queste feste un tempo spaventose. Anche il periodo natalizio qui in Europa era pieno di mostri, spiritelli cattivi e minacce varie. Ormai se n’è persa quasi del tutto la memoria (tranne forse per il caso del Krampus di san Nicola, che è rimasto un po’ più famoso). Anche questo, evidentemente, un fenomeno molto trasversale… 😛

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