Come è nato il Trick-or-Treating?

“Dolcetto o scherzetto?” recita l’adagio: ma quando è nato, esattamente?

Le questue di bambini che vanno di casa in casa reclamando dolcetti nei periodi di festa è una tradizione vecchia come il mondo. In molti paesi dell’arco alpino, esistevano usanze simili nel periodo di Natale. Nel Monferrato degli anni ’50, mio padre accompagnava di casa in casa il sacerdote per la benedizione di Pasqua – e guai se il proprietario non era disposto a elargire qualche offerta per la chiesa e qualche uovo per i chierichetti.

Insomma: in sé, non è mai stato strano sentire qualcuno che bussa alla porta nei giorni di festa e trovarsi davanti a dei bambini che reclamavano dolci. La cosa strana è che questa usanza non ha mai riguardato la notte di Halloween. Conosciamo un sacco di belle tradizioni popolari che venivano osservate alla vigilia di Ognissanti, ma il trick-or-treating sembrerebbe essere una new entry recentissima.

Ma allora, come nasce questa usanza? Chi, per primo, ha offerto un dolce per scampare a una marachella?

La chiave di tutto è proprio la marachella: o, per meglio dire, il malcostume di tormentare i vicini di casa con piccoli scherzi che, a inizio Novecento, si era diffuso nelle grandi città degli USA.

Come e perché avesse preso corpo questa usanza, lo raccontavo qua, nel dettaglio. In sintesi, si trattava di un malcostume che era nato nelle periferie povere delle città, ove gruppi di ragazzi di strada provenienti da famiglie di immigrati irlandesi avevano fatto loro, elevandola all’ennesima potenza, una consuetudine assai diffusa nella loro madrepatria: e cioè, fare piccoli scherzetti alla vigilia di Ognissanti.
Il problema è che la consuetudine stava rapidamente degenerando. Quelle che, inizialmente, erano marachelle senza conseguenze (suonare i campanelli a vuoto per disturbare i vicini di casa; tirare farina addosso ai passanti per sporcarne i vestiti…) avevano assunto, col passar degli anni, una dimensione di vandalismo vero e proprio. Ragazzi di strada, teppistelli e letterali baby gang approfittavano di quella notte per dare sfogo a tutto il loro estro. E la situazione peggiorò drasticamente negli anni della Grande Depressione.

Gli Stati Uniti erano alla fame. Maturava un sentimento di forte rancore nei confronti delle autorità, che i cittadini ritenevano incapaci di risolvere la crisi. L’odio di classe era palpabile: c’era di che aver paura a comprarsi un’automobile, in un contesto in cui qualche disperato poteva farsi venire l’idea di rigartela per ripicca (o di venirti a rubare in casa, visto che evidentemente avevi soldi).

In un clima di forte instabilità sociale, gli scherzi di Halloween si fecero sempre più violenti. La notte del 31 Ottobre era in un certo senso diventata la valvola di sfogo per la disperata rabbia repressa delle fasce più deboli della popolazione.
Nel 1933, gli “scherzetti” orditi dalle baby gang si fecero così distruttivi che, l’indomani, molti giornali parlarono di “Black Halloween”, con evidente richiamo al Giovedì Nero del ’29. Da Est a Ovest, era stata un’ecatombe: pali telefonici abbattuti, automobili ribaltate o rese inservibili, idranti anti-incendio sfasciati a martellate per allagare interi caseggiati (rigorosamente nei quartieri “bene”).
Si pensò che la situazione non potesse peggiorare oltre… e si fu prontamente smentiti. Il 1° Novembre 1934, gli Stati Uniti si risvegliarono mentre il radiogiornale descriveva la sconvolgente morte di un quattordicenne del Connecticut che era stato pestato a sangue da una banda di venti coetanei, in uno “scherzetto” conclusosi all’obitorio. Nella stessa notte, a pochi chilometri di distanza, una bambina di sei anni era bruciata viva: il vestito della piccina aveva preso fuoco mentre lei maneggiava imprudentemente un Jack-o’-lantern – il vandalismo in questo caso non c’entrava niente, ma la tragica vicenda accrebbe lo shock.

L’orrore popolare era alle stelle: era chiaro a tutti che bisognava far qualcosa. Negli anni immediatamente successivi a questa ecatombe, si moltiplicarono le feste di Halloween organizzate da parrocchie, municipalità e sedi locali dell’YMCA. La ratio, evidentemente, era togliere dalla strada il maggior numero possibile di ragazzi: anzi tutto, per evitar loro di fare brutti incontri; secondariamente, per mostrar loro che ci si poteva godere Halloween anche in modi un po’ meno demenziali.

Il trick-or-treating propriamente detto? Nasce nel 1939, quando la rivista American Home pubblica, a vantaggio delle sue lettrici, un articolo a firma di Doris Hudson-Moss. La quale, apparentemente, aveva fatto una scoperta sconvolgente:

Se le decorazioni alla vostra porta sono sufficientemente spettrali e se voi siete disposte a fornire un benvenuto caloroso e qualche piatto di buon cibo, potete star certe che i teppistelli dell’altra parte della città si uniranno a voi col medesimo spirito di festa e lasceranno intatto il vostro cancello.

(un riferimento, questo, alla pratica di smontare le recinzioni delle case e svitare dai cardini le porte dei cancelletti, burla particolarmente diffusa nella notte di Halloween).

Ebbene: a detta di Doris, i teppistelli che si erano avvicinati minacciosamente a casa sua provenendo “dall’altra parte della città” (…cioè, dalle periferie povere)

furono grandemente sorpresi nel trovarsi di fronte a una porta spalancata e a un Jack-o’-Lantern che digrignava i denti sul davanzale della finestra. Quando mi videro e notarono che stavo venendo loro incontro, qualcuno dei discoli riuscì a trovar la forza per balbettare l’antico adagio: “dolcetto o scherzetto?”.
Informati del fatto che, effettivamente, un dolcetto li stava aspettando per davvero all’interno della casa, i ragazzini entrarono timidamente nel salotto, ove trovarono altri bambini che sbocconcellavano donuts e bevevano sidro. E non vi fu nemmeno l’ombra di uno scherzo.

Anzi: con efficace passaparola, le bande di ragazzini e ragazzacci cominciarono a far girare la voce che la casa degli Hudson-Moss era da tener da conto. Nell’arco di pochi anni, il palazzo di Doris era diventata la meta obbligata di bambini e ragazzi di strada, tra cui “una banda di adolescenti che trangugiò i miei dolcetti con una voracità così disperata da spezzarmi il cuore”.

La storia di Doris è indubbiamente affascinante; il problema è semmai che le manca un po’ di verosimiglianza.
Sarà pur vero che gli Hudson-Moss si erano lanciati in questa iniziativa; diciamo che a suonare alla porta di Doris erano probabilmente dei “bravi ragazzi” che non sarebbero andati al di là della marachella. Difficile pensare che un vassoio di donuts potesse fulminare sulla via di Damasco una gang disposta a dar fuoco a una macchina o ad ammazzar di botte un ragazzino.

Inoltre, non si capisce bene da dove venisse l’antico adagio – per citare le parole di Doris – che recitava “dolcetto o scherzetto?”. Chi mai avrebbe pronunciato una frase simile, senza aspettare effettivamente un dolce dalla controparte?
Più probabile ipotizzare – con buona pace di Doris – che iniziative di simile tenore avessero cominciato a diffondersi nelle varie feste di Halloween di cui ho già detto, organizzate da gruppi giovanili, parrocchie e boy scouts. Probabilmente, la consuetudine aveva già cominciato a diffondersi e il merito di Doris fu di averla fatta conoscere al grande pubblico.

Ad ogni modo, come osserva David Skal nel suo Halloween. The History of America’s Darkest Holiday,  

quali che siano state le sue fonti, la sua ispirazione e le sue influenze, l’usanza americana del trick-or-treating si fece conoscere e cominciò a essere adottata innanzi tutto come un tentativo di proteggere la proprietà privata durante gli anni della Grande Depressione.

Interessantissimo l’editoriale che Skal riporta dopo aver fatto questa considerazione. Negli anni Trenta, lo Huston Chronicle osservava come “Halloween [fosse] un’opportunità eccellente per civilizzare una festività”. Quella che, allo stato dell’opera, era “un giorno di amnistia” e “di perdite consistenti per commercianti, proprietari edilizi e persino ignari passanti” avrebbe potuto “più proficuamente essere reinterpretata nei termini di un carnevale nazionale – una ricorrenza di cui avremmo realmente bisogno, in questo Paese”.

Era questo il tenore delle discussioni che si stavano sviluppando attorno alla festa di Halloween, quando l’America sprofondò in un incubo ancor più grave della Grande Depressione. Nel 1942, la Associated Press diede alle stampe una lettera aperta che James Spinning, sovrintendente all’istruzione di Rochester, aveva indirizzato a tutti i giovani della sua zona:

Bucare le gomme delle automobili non è più una marachella divertente, quest’anno. È sabotaggio.
Versare zozzerie sui parabrezza [per poi farsi pagare per ripulirli, NdR] non è più una marachella divertente, quest’anno. Il governo ha bisogno, per sostenere lo sforzo bellico, di tutto il sapone e di tutti i lubrificanti a disposizione.
Rubacchiare oggetti dai giardini altrui o danneggiare la proprietà privata: non è più una marachella divertente, quest’anno. Potreste star rubando qualcosa che il proprietario voleva riutilizzare o star danneggiando un oggetto che il padrone non riuscirà a sostituire, visto il razionamento dei beni imposto dalla guerra.
Persino far suonare a vuoto i campanelli delle case è un passatempo che ha improvvisamente perso tutto il suo fascino. Potreste disturbare il sonno di un lavoratore esausto impiegato nell’industria bellica, che ha un disperato bisogno di riposo.

E appellarsi all’amor patrio nel mezzo di una guerra è quasi sempre una mossa vincente.
Dopo una decina d’anni di propaganda anti-vandalismo, quest’ultimo appello colpì nel segno: negli anni della guerra, le notti di Halloween furono insolitamente quiete, negli States. La gente riscoprì (o inventò) altri modi per festeggiare, che (fortunatamente) mantenne anche negli anni del boom.
L’industria dolciaria ci mise del suo, lanciando campagne pubblicitarie specificamente pensate per Halloween, tutte all’insegna del trick-or-treating. Entro la fine degli anni Cinquanta, l’usanza si era ormai consolidata.

E tutti vissero felici e contenti, direbbe qualcuno.
In realtà, qualcun altro obietterebbe che questo happy ending era l’inizio della fine. Nel 1959, il sociologo statunitense Gregory Stone osservò che Halloween era diventata per milioni di bambini “una insensata prova generale del consumismo dell’età adulta”. E rincarò impietoso: “se gli si chiedesse di guardare un po’ al di là dell’opera di riempimento delle loro pance grassottelle, i bambini non sarebbero minimamente in grado di dire perché abbiano sottobraccio una borsa piena di dolcetti”.
Stone scrisse di aver usato come cavie diciotto gruppi di ragazzini che, in una sera qualunque di Halloween, avevano bussato alla sua porta. Alla domanda di rito “dolcetto o scherzetto?”, Stone aveva chiesto loro, con fare complice: “e supponiamo che io vi risponda ‘scherzetto’. Voi cosa mi fareste?”. La stragrande maggioranza dei bambini (l’83,3%, calcolò il sociologo) rimaneva totalmente disorientata: la reazione più comune era balbettare un confuso “non so”.

Per carità: indubbiamente meglio un baby-boomer che si ingozza senza motivo che un teppista anni Venti che sfascia automobili per svago. Diciamo che nessuno dei due scenari giovò particolarmente alla nomea di Halloween, che da “notte di follia degli immigrati violenti” si trasformò in “carnevalata commerciale, ode al consumismo iperglicemico”.  

Addomesticata, americanizzata e trasformata in mascherata per i bimbi, Halloween era diventata una festicciola family friendly che onorava il negozio di dolci sotto casa molto più di quanto onorasse la memoria dei defunti.
Ed è un peccato, mi vien da commentare: per molti secoli, il significato di questa festa è stato ben più profondo. Ne parlavo un anno fa, nella mia serie di post dedicati a Halloween: la storia vera.

11 risposte a "Come è nato il Trick-or-Treating?"

    1. Lucia

      Grazie!
      Anche io mi sono stupita quando l’ho letto la prima volta, uno in teoria si immaginerebbe una origine legata alle questue di bimbi che andavano di casa in casa nel periodo di Natale (o qualcosa del genere, insomma). E invece non c’entra proprio un accidente 😆

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