Martinsgerte, la frusta da pastore che dona la buonasorte

11 novembre, festa di san Martino: una giornata come tante, diremmo noi moderni.
Al contrario, i nostri antenati l’avrebbero definita una festa grande; una delle più importanti del calendario. Ne parlavo tempo fa in questo articolo, sottolineando come, in molte zone d’Europa, l’11 novembre fosse la data in cui terminava convenzionalmente l’anno agrario (un po’ come capitava nelle isole britanniche nel primo giorno del mese di Samhain e come accadeva altrove nella festa di san Michele).

Quello era, insomma, il giorno in cui molti facevano san Martino, come si suol dire ancor oggi. I contratti di mezzadria scadevano in quella data, così come gli affitti delle case che erano state date in locazione ai contadini. Quei lavoratori che avevano avuto la fortuna di vedersi proporre altrove un contratto più vantaggioso si preparavano, in quel giorno, a traslocare; le coppiette che s’erano formate nei mesi precedenti sceglievano spesso questo periodo dell’anno per convolare a giuste nozze.

San Martino era insomma una grande festa di paese: una ricorrenza dolceamara in cui si chiudeva un capitolo e un altro se ne apriva, auspicabilmente ancor migliore.
Molto spesso, era una ricorrenza accompagnata dallo scambio di regali. E badate: non sto parlando di regali da bambini, come quelli che ad esempio ci si scambiava a san Nicola. Sto parlando di regali per adulti – e di una certa entità economica, fra le altre cose.
Per convenzione sociale, infatti, i datori di lavori sceglievano il giorno di san Martino per donare ai loro dipendenti pezze di lana o pellicce pregiate. Era, per così dire, la versione medievale del TFR: un emolumento che poteva avere un’entità variabile a seconda della generosità del datore di lavoro, ma che in teoria avrebbe dovuto garantire al dipendente di non doversi preoccupare di aver di che coprirsi nel corso dell’inverno. Credo basterà una sottolineatura volante per mettere in evidenza il legame che correva tra questo dono e la ricorrenza in cui veniva scambiato: ovviamente, regalare capi di abbigliamento nel giorno di san Martino voleva richiamare il celebre episodio in cui vediamo il santo di Tours nell’atto di spartire il suo mantello con un mendico.

***

Tipica della Germania meridionale, l’usanza di donare capi d’abbigliamento ai propri dipendenti nel giorno di san Martino doveva già essere ben diffusa nel XIII secolo, epoca in cui comincia a essere citata per iscritto con una certa frequenza. Insomma: nel pieno medioevo, era socialmente atteso che “i ricchi” datori di lavoro facessero doni ai loro sottoposti “poveri”… ma qualcuno a questo punto potrebbe domandare: e i dipendenti? Non ricambiavano?

Ché in fin dei conti è sempre un po’ imbarazzante starsene lì a prender doni senza dar nulla in cambio… sicché, i dipendenti cominciarono pian piano a cercare un modo per sdebitarsi. E lo fecero attraverso regali simbolici, evidentemente: privi di valore monetario ma capaci di testimoniare una certa gratitudine nei confronti di un datore di lavoro con il quale, evidentemente, s’era creato un buon rapporto. Nasce proprio da questi presupposti la tradizione bavarese della Martinsgerte, la frusta magica di san Martino grazie alla quale i pastori donavano prosperità e ricchezza alle famiglie per cui avevano lavorato durante i mesi estivi.

I mesi estivi, evidentemente, erano quelli in cui i capi di bestiame lasciavano le stalle per essere portati al pascolo. Un’operazione che, come è ben immaginabile, aveva bisogno d’essere coordinata con cura e richiedeva la presenza di un buon numero di lavoratori stagionali disposti a passare tutta l’estate sui monti a prendersi cura dei capi di bestiame.
Come già detto, il giorno di san Martino era per convenzione la data in cui si concludevano tutti questi contratti stagionali. Ovverosia era il giorno in cui, trepidanti, i proprietari di bestiame attendevano il ritorno dei loro capi sperando e pregando che nessun imprevisto li avesse colpiti durante i mesi di lontananza. Per contro, per i pastori quello era il giorno in cui si rincasava, stanchi per il duro lavoro ma giustamente felici di poter ricevere finalmente il compenso che s’erano guadagnati (…e di poter riabbracciare le mogli, i genitori anziani, i figli che magari erano nati nel frattempo).
Insomma: era davvero un momento di gioia collettiva, da qualsiasi punto di vista lo si volesse guardare. E mentre i proprietari di bestiame ricompensavano i pastori che avevano così ben gestito il gregge, questi prendevano commiato dai loro datori di lavoro facendo loro un piccolo dono. Per l’appunto: la Martinsgerte.

La traduzione letterale sarebbe “frusta di san Martino”, ma in realtà non dobbiamo immaginarla come una frusta vera e propria: a giudicare dalle immagini d’epoca, il Martinsgerte era più che altro una roba tipo questa:

Immagine tratta dal blog Village Life in Kreis Saarburg, Germany – click sull’immagine per essere reindirizzati a un suo bellissimo articolo che parla di queste (e altre) usanze

una via di mezzo tra il bastone decorato e la scopa di saggina, che immagino avesse un’utilità pratica ben scarsa nel governo del bestiame, ma che simbolicamente veniva imbracciato dai pastori quando ormai mancavano pochi chilometri alle stalle. Dopodiché, il bestiame veniva riconsegnato al suo legittimo proprietario… e la Martinsgerte lo seguiva a ruota, giacché i pastori la regalavano al loro (ormai ex-) datore di lavoro.

E badate: secondo la cultura dell’epoca, era un regalo non privo di valore. La Martinsgerte era ritenuta un potentissimo portafortuna, capace di donare la buona sorte ai fortunati che la ricevevano in dono.
In Baviera, tradizionalmente, veniva appesa all’interno delle stalle per proteggere i capi di bestiame da ogni tipo di malattia invernale; in Austria, era consuetudine conservarla direttamente in casa, nella convinzione che la sua benefica presenza avrebbe garantito prosperità alla famiglia intera.
Si mormorava che il numero di rametti con i quali era stata assemblata la Martinsgerte potesse pronosticare il numero di capi che, nel corso dell’anno entrante, sarebbero giunti ad ampliare il gregge. E se conosco un po’ i meccanismi che regolavano all’epoca queste forme di folklore, non stento a immaginare come questa benedizione potesse facilmente trasformarsi in arma a doppio taglio. Vale a dire: nessun datore di lavoro avrebbe voluto vedersi consegnare una Martinsgerte visibilmente striminzita, con due saggine in croce infilzate in un bastone sinistramente spoglio. Sarebbe stata, a suo modo, una maledizione indiretta: un dono passivo-aggressivo da parte di un dipendente insoddisfatto, che aveva però il terribile potere di scagliare contro il datore di lavoro un anno di povertà e di malasorte.
Insomma, era meglio trattarli bene, questi sottoposti: senza giocare sporco rimangiandosi la parola data e senza angariarli con carichi di lavoro eccessivamente usuranti. Infatti, se un dipendente soddisfatto era in grado di portare benessere e fortuna, nessuno avrebbe voluto veder scendere su di sé il giusto sdegno di un uomo ingiustamente maltrattato!

***

E se invece tutto funzionava nel verso giusto e il rapporto di lavoro si concludeva con reciproca soddisfazione? Probabilmente, dopo i mesi invernali, la Martinsgerte sarebbe tornata nelle mani del pastore che l’aveva assemblata e che adesso veniva nuovamente assunto per riportare le greggi al pascolo. A quel punto, la frusta di san Martino sarebbe stata nuovamente utilizzata per risospingere lungo il sentiero gli animali che lasciavano la stalla: e ogni colpo di frusta avrebbe garantito loro un “magico” surplus di fertilità, salute e latte.

E certo non è un caso che, nel folklore del Tirolo, bastoni fioriti molto simili alla Martinsgerte fossero messi nelle mani dello sposo che s’avviava verso la chiesa per convolare a giuste nozze. In questo caso, non si trattava di benedire una mucca ma di far scendere buoni auspici sulla propria sposa… ma in fin dei conti, l’augurio non era sempre quello? Ricchezza, salute e tanti splendidi figliuoli per quella famiglia che stava per nascere.

Un pastorello di Franz von Deffrenger

Per approfondire: si parla (non molto diffusamente, a dire il vero) di questa tradizione in: The Krampus. An Old, Dark Christmas. Roots and Rebirth of the Folkloric Devil di Al Ridenour.

3 risposte a "Martinsgerte, la frusta da pastore che dona la buonasorte"

  1. Umberta Mesina

    Quando cominciai a lavorare, nel 1999, scopersi che anche qui da noi, in Umbria, l’anno agrario cominciava l’11 di novembre e che in quella data cominciavano i contratti di affitto dei fondi agricoli. Pochi anni dopo, una nuova regolamentazione europea (collegata all’erogazione di contributi alle aziende) spazzò via l’antica usanza imponendo di far cominciare i contratti il primo gennaio.
    Senti, Lucia, ma com’è che da noi gli studi sul folklore si sono sviluppati così poco, rispetto a paesi più nordici?
    Grazie.
    Umberta

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