L’abbiccì del mio viver la Quaresima nel quotidiano

Sta per arrivare la Quaresima, il periodo liturgico che più amo. O, per meglio dire: il periodo liturgico che più sento (il che, quasi sempre, va di pari passo con l’amore).

Come mai sento così tanto la Quaresima?
Sicuramente, perché è proprio la Quaresima il periodo in cui la mia quotidianità cambia da così a così. Il mio frigo si svuota di certi alimenti e la mia dieta si fa radicalmente riversa rispetto a quella che seguo nel resto dell’anno. Lo scorrere del tempo è cadenzato una infinità di piccole usanze e tradizioni.

La mia Quaresima non è solo questo: ovvio.
È anche preghiera, spiritualità, pratica religiosa, lettura di testi edificanti. Ci mancherebbe.

Ma che la Quaresima debba un tempo forte a livello spirituale, grazie al cielo lo diciamo tutti.
Che la spiritualità quaresimale possa trarre beneficio da penitenze e tradizioni decisamente “terra a terra”, mi pare invece un concetto meno diffuso.
Però, per me è vero.
Orpo se è vero.

Come dico sempre: noi uomini siamo esseri fatti di anima e di corpo, e non so fino a che punto sia utile ridurre la nostra vita di fede a un’esperienza totalmente astratta. Va a finire che la fede diventa una parentesi che ci ritagliamo per evadere dal nostro tran-tran quotidiano, e non è bello.

Quindi: casomai a qualcuno dovesse interessare, ecco qui un (letterale) abbiccì di come, negli anni, ho scelto di vivere la mia Quaresima a livello di usanze, tradizioni e quotidianità.
Magari, per qualcuno di voi potrebbe essere uno spunto.
Magari, qualcuno di voi lo troverà una eccentrica follia, e va benissimo.

Però, intanto, ecco ciò che faccio io.

A – Astinenza

La Chiesa Cattolica la impone obbligatoriamente il mercoledì delle Ceneri e in tutti i venerdì di Quaresima, ordinando ai fedeli di astenersi dalla carne e da tutti quei cibi e bevande che, a loro “prudente giudizio”, siano da ritenersi “particolarmente ricercati e costosi” (no, non vale rinunciare al McDonald’s per andare a scofanarsi di ostriche e sushi).

Personalmente, io ho deciso di fare di più: mi sono resa conto che, su di me, è più fruttuosa una astinenza continuativa.
Sicché, mi astengo dalla carne (e dai dolci) per tutta la Quaresima.
Puro e semplice.

“Come sei medievale!”, commentava stupita la blogger Manidipastafrolla, domandando: “ma nemmeno nelle domeniche o nelle feste importanti, ti concedi ‘na fettina di salame?”.
No, perché mi sono resa conto che su di me il sacrificio è fruttuoso proprio nella misura in cui è lungo e continuativo e mi impedisce di sgarrare.
Oh, io mi ci trovo bene.

B – Buonsenso

Lo dico sempre quando parlo di questi temi: regà, le mortificazioni corporali e le rinunce alimentari facciamole… ma con MOLTO MOLTO buonsenso.

Come vedrete tra un paio di lettere, io tendo ad essere abbastanza strong anche nel modo di digiunare. Ma per l’amor del cielo non facciamoci del male fisico in una gara di santità.
Ricordo, ad esempio, una Quaresima iniziata due giorno dopo un fastidioso intervento alla bocca, che, costringendomi a una dieta semiliquida, limitava di moltissimo la quantità di cibi a mia disposizione. In quelle condizioni, non ci ho pensato manco per scherzo a ridurre ulteriormente il mio menù: mi sono limitata a rinunciare alla carne nei venerdì, e ciao.
A maggior ragione se parliamo di digiuno, va da sé che sono sempre molto attenta a cogliere i segni che mi manda il corpo e non ho alcuna remora ad ammorbidire in corso d’opera la penitenza, se mi rendo conto che rischierei di star male.

E ci mancherebbe altro, voglio dire.

C – Carne

C’è – anche tra i cattolici – un diffuso malinteso secondo cui il consumo di carne sarebbe stato vietato dalla Chiesa perché, all’epoca, la carne era un cibo particolarmente ricercato. Secondo questa consolante visione, la Chiesa non aveva alcun interesse a vietare il consumo di un cibo in sé: il suo scopo era, semmai, richiamare i fedeli a stili di vita meno lussuosi.
Ehm, no. Ragazzi: no.
A questa obiezione (che evidentemente ha radici tutte storiche, dunque anche poco opinabili, se vogliamo) ho dedicato un intero articolo in passato. Non è vero che nel Medioevo la carne era un cibo da ricchi: in certe epoche e in certe zone d’Europa, se ne mangiava addirittura più di quanto se ne mangi oggi.

La Chiesa non invitava ad astenersi dalla carne per condannare le ostentazioni di ricchezza.
La Chiesa invitava ad astenersi dalla carne per lo scopo puro e semplice di invitare ad astenersi dalla carne, cioè da quell’alimento che, all’epoca, era ritenuto “buono” e “gustoso” per eccellenza.
Col precetto dell’astinenza, la Chiesa non condannava un vizio. Invitava a fare una penitenza corporale.

Vogliamo approfittare della maggiore elasticità concessaci per aggiornare questa penitenza?
Mia mamma, che detesta la carne, in Quaresima rinuncia al suo tè pomeridiano.
Ho un amico che rinuncia agli alcoolici. Ne conosco un altro che rinuncia alla pausa caffè alla macchinetta. Ho una amica che ha deciso di mortificare il suo corpo rinunciando alla funzione snooze della sveglia e abbassando il livello della caldaia in modo tale da farsi docce tiepide (e non calde).

Ma il senso del fare una rinuncia alimentare è sempre stato quello di fare una rinuncia alimentare, cioè esercitare la propria volontà per privarsi di qualcosa che il corpo legittimamente desidera. E non condannare un vizio.

D – Digiuno

Posso dire, con molto rispetto, che l’obiettivo minimo sindacale prescritto da Santa Romana Chiesa tiene davvero molto bassa l’asticella, nello stabilire come si fa digiuno?
Non è una polemica. È una considerazione. Sol per quello, la Chiesa dice anche che è obbligatorio confessarsi una volta all’anno, ma penso ci sia un comune consenso sul fatto che confessarsi con maggior frequenza non è insubordinazione.
Allo stesso modo, io ritengo che le norme da seguire obbligatoriamente nei giorni di digiuno (un unico pasto nel corso della giornata, con possibilità di integrare con due piccoli snack a mattino e sera) siano davvero molto generose. Ritengo che, mediamente, un individuo adulto, in buona salute e che non svolge lavori di fatica sia in grado di digiunare con molta più intensità.

Personalmente, quando mi rendo conto di essere nelle condizioni fisiche ottimali, digiuno nel vero senso della parola (limitandomi cioè a ingerire liquidi) e prolungo il digiuno del venerdì santo fino alla veglia di Pasqua (come è, in effetti, suggerito).

Può sembrare da pazzi, ma la realtà è che io ce la faccio benissimo e senza ripercussioni sul piano fisico (a parte ovviamente una fame boia il primo giorno).
A onor del vero: quando avevo vent’anni, era proprio una passeggiata; adesso, il digiuno sta cominciando a farsi sentire un po’ di più e non escludo che verrà il giorno in cui dovrò rimodulare questa mia mortificazione accantonando il digiuno completo nel cassettino delle cose belle per cui non ho più l’età.

E – Easter Dress

Ma dopo questa apertura col botto, passiamo a cose un tantinello più leggere! Tipo: l’Easter Dress.
È una usanza che, mi si dice, è ancora abbastanza viva nei paesi d’area anglosassone, dove del resto è presa assai sul serio anche la tradizione del vestito buono della domenica. Ecco: l’Easter Dress è il vestito buono della domenica elevato all’ennesima potenza – cioè, è un vestito particolarmente grazioso (magari addirittura nuovo, a mo’ di auto-regalo) che si indossa in occasione della Messa pasquale.

Posso dirlo? Amo questa tradizione.
La amo perché rende visibile quella che dovrebbe essere la realtà dei fatti: Pasqua è il giorno più bello dell’anno; la Messa di Pasqua è la più gioiosa dell’anno – e se abbiamo l’abitudine di vestirci bene per una Messa nuziale o per una Prima Comunione, perché non dovremmo riservare attenzioni analoghe alla meravigliosa veglia madre di tutte le veglie?

F – Foglie d’Ulivo

È una tradizione tutta mia, me la sono inventata di sana pianta, ma ormai è diventato un must per la mia famiglia.
Avete presente le foglie d’ulivo? Intendo quelle di grano duro, la pasta per pastasciutta. Si tratta di un formato di pasta a forma di foglia d’ulivo, resa verde dagli spinaci presenti nell’impasto.
Fino a qualche anno fa, la trovavo solo in Liguria, patria della taggiasca, e me la spacciavano come un piatto tipico di Imperia. All’atto pratico, pare che questo formato di pasta esista anche in altre regioni (e comunque si trova comunemente al Lidl).
Ad ogni buon conto, le foglie d’ulivo sono, a casa nostra, il piatto immancabile della Domenica delle Palme. Una sciocchezzuola, per carità, oltretutto senza fondamento storico. Ma, ormai, per noi assurta a tradizione.

G – Gloria

Il Gloria è il mio momento preferito della Veglia di Pasqua, quello in cui inevitabilmente mi si inumidiscono gli occhi (ehm, sì: un digiuno di quarantott’ore ha come effetto collaterale quello di rendermi insolitamente emotiva. Ed è bellissimo).
Amo visceralmente (un digiuno di quarantott’ore ha molto a che fare con le viscere) il momento meraviglioso in cui le campane iniziano a suonare forsennatamente. È uno dei tanti momenti meravigliosi che la liturgia dona a chi è capace di coglierli – e io ho talvolta il sospetto che non tutti i fedeli prestino alla liturgia l’attenzione che meriterebbe.
Durante la Quaresima, il Gloria e l’Alleluja non vengono cantati: fateci caso. Se avete bimbi piccoli, fateglielo notare. Non è che l’organista si è messo in sciopero: è un segno, ha un significato profondo.
Chi non ci presta attenzione gode solo a metà, come diceva la pubblicità dei Fonzies.

H – Hot Cross Bun

Ho scoperto la tradizione degli hot cross bun molti anni prima di poterne assaggiare uno di pasticceria. Già li amavo a livello astratto per la loro storia; al primo morso, ho scoperto di amarli ancor di più.
Se vivete a Torino: li vendono da Perino. Se non siete delle mie parti, provate a farli in casa, questi dolcetti tipi della tradizione inglese. Sono legati a una leggenda terribilmente triste e dolce, e – da tradizione – si mangiano il Venerdì Santo.
Ovviamente io non li mangio il Venerdì Santo (!) ma non me li faccio mai mancare nel periodo di Pasqua. Sono abbastanza semplici da preparare (ma: Torinesi, quelli di Perino son speciali) e, se avete in casa dei bambini piccoli, potreste coinvolgerli nella fase della decorazione, raccontando loro la leggenda che sta dietro a quella “hot cross”. Secondo me, si divertono.

I – Inviti a cena

Croce e delizia di tutti coloro i quali vorrebbero sperimentare una Quaresima all’insegna delle penitenze alimentari.
“Croce” perché… : mi rendo conto che essere invitati a cena quando si segue un regime dietetico particolare può essere fonte di imbarazzo (…anche se, nell’epoca delle intolleranze e dei vegani…).
“Delizia” perché, nelle giuste condizioni, l’imbarazzo può essere riconvertito in occasione di testimonianza.

Per come è fatta in questo momento la mia vita, raramente mi capita di ricevere inviti a cena. Nelle rare volte in cui capita, la meta è tendenzialmente un locale, il che rende ovviamente facile il selezionare un piatto “di magro” dal menù.
Ma nelle rarissime volte in cui mi è capitato di essere invitata a casa d’altri nel mezzo della Quaresima, io l’ho detto molto apertamente: cara amica, vengo con piacere, ma in Quaresima non mangio né carne né dolci.
Se lo dici così, senza tergiversare, tendenzialmente l’amica si complimenta stupita per la tua coerenza – e ovviamente si adegua. Non è poi così difficile preparare una cena senza carne, suvvia. Se poi ti offri d’essere tu a portare il secondo, è meno difficile ancora.

In tutto ciò, personalmente preferisco evitare, ove possibile, inviti a cena particolarmente lussuosi nel bel mezzo della Quaresima.
Una cena a casa di amici, ok; una serata in pizzeria, se è il caso, ok. Ma mi è già capitato di essere invitata a pranzo in un ristorante elegantino e dire “per piacere, stavolta potremmo andare in un posto meno chic oppure rimandare l’uscita di un paio di settimane?”. Anche in quel caso, ho ricevuto complimenti sorpresi, non occhiatacce.

L – Laetare!

Quanto amo la Domenica Laetare – cioè la domenica di mezza Quaresima – con tutta quella meravigliosa simbologia che le si accompagna.
Quanto amo vedere i sacerdoti celebrare indossando i paramenti di colore rosa – ad addolcire l’austero viola penitenziale, per ricordare a tutti noi che manca poco!, la Pasqua è vicina.
Nella Domenica Laetare, festeggiamo mangiando qualcosa di magro ma particolarmente buono e dedicando la giornata a passeggiate primaverili. Da qualche tempo, ho deciso di copiare la moda statunitense di indossare a mia volta qualcosa di rosa per sottolineare la particolarità del giorno.

M – Mamma

Nel Regno Unito, la festa della mamma cade nella Domenica Laetare. Dietro a questa usanza c’è una antica tradizione che avevo descritto in questo articolo, legata ai costumi locali ancor più che alla liturgia.

Confesserò che questa tradizione mi piace più di quella nostrana che fissa la festa della mamma in una domenica a caso del mese mariano (sì, ok, Maria è la mamma celeste, ma a parte quello…?).
E quindi, a casa mia, le mamme vengono festeggiate nella Domenica Laetare.
E grazie tante.

N – Nuvolatte

I Nuvolatte della Morato Pane sono, per me, il simbolo di tutti quegli escamotage che mi tocca architettare per sopravvivere senza (troppi) disagi alla mia Quaresima.
Perché, per me, rinunciare ai dolci per quaranta giorni è (ovviamente) una sciocchezzuola a livello generale, ma diventa un problema serio se si parla di colazione.

È una mia caratteristica: fin da quando ero bambina, mi sveglio sempre con un vago senso di nausea o stomaco chiuso che gradualmente sparisce nel corso della mia prima ora di veglia – ma che, ad esempio, mi impedisce di far colazione con cibi che, in quel momento, “proprio non mi vanno giù”.
Le fette biscottate, ad esempio, non mi vanno giù. Alle colazioni salate, preferirei un attacco di diarrea. I cereali nel latte mi piacciono molto, ma solo se non devo uscire immediatamente dopo: in caso contrario, il latte mi sta sullo stomaco.
La mia colazione ideale è la classica accoppiata “brioche e cornetto”, ma come fare se la mia Quaresima mi impedisce di avere la brioche?

Da qualche anno, ho scoperto che mi trovo bene con i Nuvolatte della Morato, o comunque con panini al latte soffici come una brioche ma assai meno zuccherati.
Tutte le volte che li vedo al supermercato, i Nuvolatte mi ricordano la fatica oggettiva di rispettare quei limiti che io stessa mi sono imposta. E va benissimo così, è giusto che sia così: che penitenza sarebbe, se la penitenza non pesasse?

O – Ovetto

In molte delle chiese in cui mi è capitato di partecipare alla Veglia di Pasqua, l’ovetto è una dolcissima tradizione. Alla fine della Messa, il sacerdote fa distribuire ai presenti un bell’ovetto di cioccolato nella sua stagnola brillante.
In alcuni casi, l’ovetto è benedetto; in altri casi, è benaugurante e basta (sigh), ma ce lo facciamo andar bene lo stesso.
Comunque, la trovo una usanza bellissima che spero di vedere sempre più di frequente.
Se poi si ha la ventura di essere digiuni quando si assiste alla Veglia di Pasqua, spezzare il digiuno con l’ovetto che ti regala il parroco è un qualcosa di particolarmente bello.

P – Pizza

“Pizza”, a casa mia, è la risposta a molte delle domande della vita, e sicuramente è la risposta alla domanda “se mangi di magro per tutta la Quaresima, in che modo festeggi le domeniche e le altre festività importanti, tipo l’Annunciazione?”.
Col mio piatto preferito al mondo: la pizza.
O col fritto di calamari (un mio altro grande amore) o con agnolotti di magro. Insomma, con cibi che amo particolarmente e che mi aiutano a sentire il clima di festa (il che è importante!) senza però interrompere la mia astinenza. Il che è importante!

Q – Quinta Domenica di Quaresima

Mi piace che la parte finale della mia Quaresima sia ritmata da tradizioni e usanze speciali che fungano da conto alla rovescia, di settimana in settimana.
E quindi, se la quarta domenica di Quaresima è per me caratterizzata dai festeggiamenti della Messa Laetare, la quinta domenica è per me la Carling Sunday. Anche in questo caso, mi rifaccio a una tradizione inglese che prevede che, quel giorno, si consumino piselli.
Perché proprio i piselli, l’ho raccontato qui. A casa mia, un piatto di tonno-uova-piselli è un must, in quella giornata.

R – Regalo di Pasqua

“Come sei venale!”, dirà qualcuno.
Ribatto piccata: non è questione di essere venali – è questione di considerare la Pasqua una festa importante.
E così come è normale scambiarsi regali in occasione del Natale, del compleanno e di altri anniversari, così io trovo normale e bello ricevere e fare piccoli doni in occasione della Pasqua.

Non parlo (solo) dell’uovo di cioccolato: parlo proprio di regali veri e propri.
È una abitudine che ho da almeno una ventina d’anni, e cioè dal giorno in cui mia mamma ha garbatamente proposto alle mie nonne e zie di evitare di spendere soldi per un uovo di cioccolato (che, all’epoca, non mi entusiasmava più un granché) e di spendere invece la cifra corrispondente per un regalino nel senso classico del termine.
Da allora, ogni anno, a Pasqua, faccio e ricevo piccoli doni, spesso confezionati in quelle deliziose uova di cartone con disegni retrò che si trovano in cartoleria.
Ed è bello.

S – Silenzio

Per anni, sono stata parrocchiana di una parrocchia che non aveva il campanile. Dichiaratamente, aveva deciso di non farlo erigere quando è stata costruita a metà anni Sessanta: non si voleva disturbare i vicini di casa con lo scampanio costante, si diceva.
Sigh.
In virtù di questo, mi ci è voluto un trasloco per abituare il mio orecchio al suono familiare del campanile e per capire fino in fondo la profondità del gesto per cui le campane di tutte le chiese tacciono, nei giorni di lutto del venerdì e del sabato santi.
È come se la terra sprofondasse in un silenzio desolato e cupo, che cerco di mantenere il più possibile anche in casa mia: in quei due giorni, non accendo la televisione e non ascolto musica.

(Per chi ha bambini in casa: in Francia, esiste una leggenda a misura di bebè che spiega anche che fine hanno fatto, queste benedette campane che inspiegabilmente tacciono nei due giorni prima di Pasqua).

T – Tenebrae

Avete mai avuto occasione di assistere a un Ufficio delle Tenebre?
Onestamente, non saprei bene dove indirizzarvi, visto che io lo frequento in una chiesetta che celebra secondo la forma straordinaria del rito romano. Però, se vi capitasse di trovare una parrocchia che lo… mette in palinsesto negli ultimi tre giorni della Settimana Santa, suggerirei di dare un’occhiata. Anche solo per qualche minuto (di per sé, l’Ufficio è luuungo). Anche solo per curiosità.

Nella chiesa buia e silenziosa, l’unica fonte di luce è un candelabro di forma triangolare sul quale brillano quindici candele accese. Nel corso della celebrazione, le candele vengono spente ad una ad una, nei momenti di pausa tra una lettura e un’altra. Alla fine dell’Ufficio, solo una candela rimane accesa – ma anche quel piccolo barlume presto scompare, mentre la candela viene nascosta dietro l’altare. E proprio allora, mentre la chiesa sprofonda nell’oscurità totale, si impadronisce di lei lo strepitus… cioè un fracasso disarmonico creato ad arte, con libri o pezzi di legno sbattuti contro i banchi.

L’oscurità che avanza simboleggia, ovviamente, il dolore della Chiesa in quel periodo di lutto. Lo strepitus vorrebbe ricordare il fragore del terremoto verificatosi alla morte di Gesù.
Ma, al di là della simbologia, la celebrazione è indubbiamente ad alto impatto. Se vi capitasse di poterci assistere, dateci un’occhiata.

U – Uovo di cioccolato

Ho un bel dire che, all’uovo di cioccolato, preferisco un regalo vero e proprio… ma un uovo di cioccolato cerco sempre di procurarmelo. Sennò che Pasqua è?!

Accetto peraltro suggerimenti su uova di cioccolato in cui il rapporto qualità/prezzo non sia apertamente al di sotto dei limiti della decenza. Al momento, le mie uova di fiducia sono quelle della Paluani con le sorprese a marchio Trudi: costo accettabile e sorpresa bellina (sai già che sarà un Trudino, la sorpresa è scoprire quale).
Voi, che cosa mi consigliate?

V – Vegetariani

Meno male che, ai giorni nostri, la scelta vegetariana è diventata “di moda”. Mi basta pensare alle mie Quaresime “meatless” di una quindicina di anni fa per rendermi conto di come, oggigiorno, sia molto più facile trovare opzioni vegane in ogni menù e supermercato.

Come nota di colore: con una crescente frequenza, vedo sui social attivisti a favore dell’ambiente lanciarsi nella sfida del #MeatlessMonday: gli aderenti sono invitati ad astenersi dal consumo di carne una volta alla settimana, il lunedì. Non c’è necessariamente bisogno di diventare vegetariani, sostengono i promotori dell’iniziativa: se tutti gli uomini di buona volontà prendessero l’abitudine di astenersi dalla carne un giorno a settimana e con regolarità, basterebbe quello a dare beneficio al mondo.

Sorrido sempre di sottecchi quando leggo queste affermazioni.
Cari amici: che ne direste di una istituzione bimillenaria che incoraggia i suoi seguaci ad astenersi dalla carne un giorno a settimana con regolarità, e magari anche per quaranta giorni extra?

Z – Zimmer Hans

Non sapevo cosa piazzare alla lettera “Z”, e allora ho pensato a lui: Hans Zimmer. È l’autore della colonna sonora di quel piccolo gioiellino che è The Prince of Egypt (lo conoscete? Se non lo conoscete, dovreste proprio rimediare).

È stato un caso che, una vita fa, mia mamma abbia posato gli occhi su quel CD mentre vagava alla ricerca di un pensierino extra da aggiungere ai regali per il mio undicesimo compleanno. Il CD era – giust’appunto – la colonna sonora originale di The Prince of Egypt, il cartone animato incentrato su Mosè che io avevo visto nei mesi passati e che non m’era dispiaciuto.

Onestamente, mia mamma non avrebbe mai immaginato un successo simile per quel suo regalo. E invece, ho adorato e stra-adorato quel CD, che credo di aver ascoltato almeno una volta al giorno per tutta la mia pre-adolescenza (peggio degli infanti in fissa con Peppa Pig).
La mia ossessione, in particolare, era la bella canzone There can be Miracles, che i protagonisti del cartone intonano quando il faraone accorda agli Ebrei il permesso di lasciare l’Egitto.
Una canzone, in quei frangenti, è stata intonata davvero: lo dice la Bibbia, che riporta anche il testo di quel canto. Hans Zimmer ha avuto l’astuzia di inserire quel canto, in ebraico, all’interno della canzone inglese – sicché, a un certo punto, i personaggi intonano quelle che, in teoria, sono state le ipsissima verba dei protagonisti.
Bellissimo.
Da ragazzina, amavo in particolar modo questo punto della canzone. E questo punto della canzone ancor oggi riecheggia nelle mie orecchie tutte le volte che, nella Veglia di Pasqua, viene declamato il salmo corrispondente.

Una donna adulta che non sia psicologicamente labile difficilmente si emoziona quando, a Messa, le viene in mente la colonna sonora di un cartone animato.
E infatti ad emozionarsi non è la donna adulta: quella che si emoziona ogni anno, secondo me, è la Lucia bambina, la ragazzina che viveva col fervore dell’adolescenza le sue prime Quaresime “da grande”. Quella che aveva l’età giusta per cominciare a mettere assieme i tasselli del puzzle e a capire il valore dei fioretti, del vestito buono, delle visite silenziose ai “sepolcri” nelle chiese… e anche di quel cartone della DreamWorks che improvvisamente irrompeva nella Messa, trasformando in liturgia ciò che, normalmente, era quotidianità.

Non so se da bambina mi sarei emozionata allo stesso modo, se la mia Quaresima si fosse ridotta al solo “recita tante preghierine e leggiti questo sussidio”.
Le preghiere sono indispensabili e i sussidii sono preziosi, ma non sottovalutate – ad esempio – il potere di un hot cross bun che cuoce, mentre la mamma ti racconta la sua leggenda.

A distanza di anni, quell’hot cross bun potrebbe farvi lo stesso scherzo delle madeleine di Proust.
O, meglio ancora, potrebbe farlo ai vostri figli. E non venitemi a dire che non lo desiderate.

9 risposte a "L’abbiccì del mio viver la Quaresima nel quotidiano"

  1. Murasaki Shikibu

    Sempre carini questi alfabetieri: per chi li fa, perché si ritrova a mettere ordine in qualche materia in un qualche settore, e per chi li legge perché impara sempre qualcosa.
    Per esempio: sono sicura e strasicura di non avere mai visto né sento nominare le foglie di olivo se non, appunto, come le foglie dell’albero di olivo 🍃🍃🍃

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