Sibilia e Pierina, le streghe che si lanciarono in un gioco pericoloso

Io me la immagino, la faccia dell’inquisitore quando si trovò ad ascoltare le deposizioni di ‘ste due matte. Me la immagino proprio, anche perché le carte processuali ci danno tutti gli indizi necessari per farci una idea piuttosto precisa della situazione: non penso di andare troppo lontano dal vero se dico che fra’ Ruggero da Casale alzò gli occhi al cielo per invocare un po’ di pazienza, tamburellò le dita sul piano del tavolo, annotò con una certa curiosità antropologica le boiate che quelle due miserande stavano elencando e poi si domandò: “sì ma adesso io che ci faccio, a ‘ste due povere sceme?”.

Evidentemente spinto dal comprensibile desiderio di togliersi di mezzo le squinternate e di tornare a occuparsi delle cose serie, fra’ Ruggero cercò di tirar fuori l’espressione più ieratica del suo repertorio e ammonì con severità le due peccatrici. Non istà bene – spiegò loro – che un cristiano si diverta a millantare di aver fatto patti con la dea dell’Oltretomba. Né tantomeno è una buona idea per il cristiano andarsene in giro a raccontare che, in virtù del suddetto patto, è divenuto in grado di avere strani intrallazzi coi fantasmi e gli animali zombie e che in loro compagnia penetra nottetempo nelle altrui case al fine di scroccare il cibo alla brava gente.
“Mica per niente: ma se trovi un altro matto della tua stessa forza che prende per vere queste panzanate, rischi pure che quello te meni urlando di star lontano da casa sua”, pensò probabilmente fra’ Ruggero tra sé e sé, mentre congedava con un sospiro quelle due povere donnette. Ben grande sarebbe stata la sua sorpresa se il religioso avesse potuto sapere che, sei anni più tardi, a prendere per vere quelle panzanate sarebbe stato un suo confratello, a sua volta inquisitore.

Eppure, così fu. Quella che state per leggere è la storia di uno dei più bizzarri e significativi processi per stregoneria di cui l’Europa abbia memoria. Quella che state per leggere è storia di Sibilia e Pierina.

Le fonti di questa Storia

Correva l’anno 1384 quando Sibilia, moglie di Lombardo de Fregulati, e Pierina, figlia di Zambello de Bugatis e moglie di Pietro da Brivio, venivano convocate per la prima volta davanti al Tribunale dell’Inquisizione di Milano. Sfortunatamente, sono andate perse le carte processuali prodotte nel corso dell’indagine; fortunatamente, si sono conservate due sentenze molto particolareggiate, che hanno il merito di riportare nel dettaglio le deposizioni spontaneamente rilasciate dalle donne.
Scoperte nel tardo Ottocento da Ettore Verga, queste carte sono state da lui pubblicate nel 1899 in un saggio Intorno a due inediti documenti di stregheria milanese del secolo XIV; da quel momento in poi sono state citate a più riprese in Italia e all’estero, a causa della particolarità della vicenda.

Ma insomma: in che risiede questa particolarità? Chi erano Sibilia e Pierina, e qual è la loro strana storia?

Il gioco pericoloso di due giovani streghe

Donne nel pieno della giovinezza (non avevano ancora compiuto trent’anni) e in una posizione sociale mediamente rispettabile (tutte e due erano sposate, come si confà a una brava ragazza), Sibilia e Pierina erano probabilmente amiche, o quantomeno buone conoscenti. Non sappiamo esattamente quali siano state le circostanze che le hanno portate per la prima volta al cospetto dell’Inquisizione: forse, la notizia delle loro bizzarre scorribande notturne aveva cominciato a circolare di bocca in bocca, generando la comprensibile inquietudine dei compaesani.

Convocate dall’inquisitore fra’ Ruggero da Casale, le due donne si presentarono ubbidientemente al cospetto del tribunale e, con la massima tranquillità, raccontarono quietamente la loro storia. Senza ritenere che vi fosse nulla di male nella bizzarra serie di eventi che stavano per descrivere, Sibilia e Pierina ammisero con serenità di esser parte d’un gruppo di individui che una volta alla settimana, ogni giovedì sera, partecipava a un convegno notturno presieduto da una certa Donna Oriente.
Vivi e defunti, uomini e donne, prendevano parte a queste riunioni; e anzi, se uno dei vivi desiderava abbandonare questo mondo, doveva procurare a Donna Oriente un nuovo adepto, disposto a prendere il suo posto. Pierina, per esempio, era stata arruolata nell’esercito dei vivi per permettere a sua zia Agnesina di passare a miglior vita; e poiché i defunti conservavano intatta la loro fedeltà alla signora, il seguito di Donna Oriente aumentava di anno in anno, coi vivi che restavano sempre in egual numero e i morti che si facevano via via più numerosi.

A un perplesso inquisitore, le due donne spiegarono che presenziavano a queste riunioni anche gli animali (tranne l’asino, a cagione del ruolo di prim’ordine da lui svolto nella Passione del Signore). Le povere bestie venivano macellate e poi consumate con gusto dai presenti; ma il loro era un sacrificio di breve durata, giacché Donna Oriente aveva cura di resuscitarli dopo cena (anche se – ammisero le due giovani – gli animali da fatica non erano più quelli di prima, dopo aver subito questo trattamento).

La misteriosa entità femminile di cui le due amiche erano adepte, anche nota come “Signora del Gioco” tra i suoi seguaci, aveva giurisdizione sul mondo dei morti allo stesso modo in cui Dio ce l’ha sul mondo dei vivi – un’affermazione che sicuramente suonò a dir poco destabilizzante alle orecchie dell’inquisitore.
Probabilmente ancor più destabilizzante fu per lui il venire a sapere che Sibilia e Pierina, non vedendo nulla di male in queste riunioni e non ritenendo che fosse un peccato prendervi parte, non avevano mai ritenuto di doverle citare in confessione. Anzi: ai loro occhi, Donna Oriente era una figura benevola, che conosceva i segreti delle erbe e li insegnava ai suoi seguaci per permettere loro di curare le malattie e spezzare le maledizioni.

Ma c’è di più! Come Sibilia e Pierina ci tennero a far sapere a un attonito fra’ Ruggero, anche le persone che non avevano mai avuto a che fare con Donna Oriente potevano aver beneficiato, senza saperlo, delle sue amorevoli attenzioni. Infatti, ogni giovedì sera, dopo aver consumato coi suoi amici la cena a base di selvaggina risorgente, la Signora del Gioco si levava in volo portandosi appresso tutto quel seguito di umani, fantasmi e bestie zombizzate. In compagnia di quella allegra squadra, penetrava nelle case della brava gente: se trovava del cibo sul tavolo, lo mangiava con piacere ringraziando la famiglia che era stata così gentile da lasciarlo lì a sua disposizione. Se la casa, poi, era particolarmente ordinata, la Signora del Gioco se ne rallegrava vivamente e lasciava cadere su di essa la sua benedizione.
E così, quella allegra e benevola compagnia volante viaggiava di casa in casa fino alle prime luci del sole: all’alba del venerdì mattina, i seguaci di Donna Oriente avrebbero preso commiato… con la promessa di reincontrarsi la settimana successiva. E così per tutto il resto della loro vita – e anche oltre.

***

Questa strampalata deposizione lasciò fra’ Ruggero a dir poco perplesso. Dal punto di vista dell’inquisitore, era chiaro che quelle donne costituivano un problema: due ragazze che vanno in giro a raccontare strane storie di spettri, voli notturni e affiliazioni a divinità dell’Oltretomba sono evidentemente delle mine vaganti, potenzialmente capaci di confondere e dividere la compagine cristiana.
Eppure, a fra’ Ruggero era molto chiara anche un’altra cosa: che quelle due poverine erano probabilmente due mitomani, o peggio ancora due squinternate con le visioni. Definirle “eretiche” sarebbe già stato un complimento, ché gli eretici sono individui sani di mente – invece, come vogliamo definire le facoltà mentali di due donne che vanno in giro a raccontare storie così assurde?

Non sapendo che pesci prendere, fra’ Ruggero si consultò con altri due inquisitori e con l’arcivescovo di Milano. Dopo lunghe riflessioni, quel team giunse alla conclusione di essere di fronte a due tipe strane, che però andavano comunque messe nelle condizioni di non nuocere.
Sibilia e Pierina furono effettivamente giudicate colpevoli di aver professato pubblicamente idee eretical idiote evidentemente non compatibili con una fede cristiana ben formata. In virtù di ciò, furono rispedite a casa con una multa di 10 fiorini, una piccola penitenza da espiare in tre diverse chiese… e, soprattutto, con la raccomandazione di non peccare più. Cioè, di piantarla di andare in giro a raccontare ‘sta storia senza senso, ché poi la brava gente si destabilizza e si fa venire i dubbi. Ubbidientemente, Sibilia e Pierina accettarono le condizioni: giurarono che non avrebbero più partecipato agli incontri della Signora e che giammai avrebbero cercato di fare nuovi adepti; dopodiché, furono rimesse in libertà.

“Tutto bene quel che finisce bene”, potremmo esser tentati di commentare. Ma la Signora del Gioco non è evidentemente quel tipo di persona disposta a rinunciare così facilmente alle sue compagne di squadra. E infatti, in breve tempo, Sibilia e Pierina tornarono a frequentare quella bizzarra compagnia notturna.

***

Furono loro stesse ad ammetterlo con candore quando, sei anni più tardi, nella primavera del 1390, furono richiamate al banco degli imputati da un nuovo inquisitore, fra’ Beltramino da Cernuscullo. Con la stessa loquacità che avevano mostrato durante il primo processo a loro carico, le due donne ammisero di aver ripreso a frequentare “il Gioco”, che descrissero a fra’ Beltramino con ampia dovizia di particolari.
Dettaglio curioso: nell’arco di quei sei anni, il gioco aveva tutta l’aria d’essersi fatto più piccante. Oltre a fare tutte le cose che già sappiamo, le due donne avevano anche preso l’abitudine di concludere i loro giovedì sera intrattenendo rapporti sessuali con un loro amico demone di nome Lucifello – un dettaglio così incoerente con il resto della deposizione che vien da chiedersi se non sia stato l’inquisitore a suggerire quell’idea alle imputate.

In ogni caso, l’entrata in scena di Lucifello non è l’elemento più rilevante di questa storia.
Paradossalmente, non è di soverchia rilevanza neppure il fatto che, a seguito del secondo processo, Sibilia e Pierina siano state condannate al rogo. Fra’ Beltramino le giudicò relapse, cioè colpevoli di essere ricadute per la seconda volta in quella stessa identica eresia che sei anni prima avevano giurato di voler abbandonare. Evidentemente incapaci di mantenere il giuramento, le due donne furono considerate irrecuperabili; a quel punto, l’inquisitore valutò che ci fosse un unico modo per evitare il dilagare di quella bizzarra eresia: condannare a morte le due donne che la praticavano.

Il che – intendiamoci – non fu una bella cosa.
Ma non fu nemmeno una cosa particolarmente strana: punire in modo piuttosto leggero “in primo grado” i peccatori che si dichiaravano pentiti dei loro errori, e poi mostrare il pugno di ferro quando si dimostrava che costoro erano ricaduti nell’eresia era, di per sé, la procedura standard che veniva normalmente seguita nei tribunali dell’Inquisizione.
Paradossalmente, l’elemento più rilevante di questa storia non è tanto che le due donne siano uscite vive dal loro incontro con fra’ Ruggero e siano invece state condannate a morte da fra’ Beltramino.
Questo è evidentemente l’elemento più tragico e spiacevole; ma non è, di per sé, il più curioso.

La cosa veramente curiosa è che fra’ Beltramino credette davvero a ciò che raccontavano le due donne. Vale a dire: credette davvero a quella storia sconclusionata fatta di voli notturni, animali risorti e scorpacciate fantasma.

“Credidisti”, “credidisti” aveva scritto più volte nel 1384 fra’ Ruggero nella sua sentenza, giudicando le due donne colpevoli di aver creduto a quella bizzarra serie di eventi, che poi andavano a raccontare in giro.
“Isti”, “isti”, scrisse invece nel 1390 fra’ Beltramino, giudicando le donne colpevoli di aver realmente partecipato a quei voli notturni che le due descrivevano con tanta cura.

E il dettaglio più curioso di questa storia è proprio questo: a distanza di soli sei anni, nello stesso tribunale, due inquisitori provenienti dalla stessa famiglia religiosa guardano in modo radicalmente opposto alla stessa identica deposizione. Da un lato abbiamo fra’ Ruggero, che derubrica queste assurdità a fantasticherie da donnicciole; dall’altro lato, abbiamo fra’ Beltramino, che considera assolutamente plausibili gli sconclusionati eventi che gli vengono descritti.

Sibilia e Pierina si sarebbero salvate, se anche il secondo giudice le avesse considerate due povere pazze?
Forse sì o forse no, ma non è questo il punto: la triste verità è che, in quanto relapse, ricadute per la seconda volta nella stessa bizzarra eresia che avevano giurato di voler abbandonare, le nostre due amiche sarebbero in ogni caso andate incontro a una condanna ben più severa della precedente.
L’elemento veramente curioso in questa storia risiede altrove. E sta proprio nell’atteggiamento dei due inquisitori: erano passati solamente sei anni, eppure era cambiato completamente il modo di guardare a queste storielle da donnine di paese.

Leggendo tra le righe della Storia

Fantasie come quelle riportate da Sibilia e Pierina erano note a gran parte della popolazione europea. Venivano raccontate davanti al fuoco nelle fredde sere invernali, spesso utilizzate come spauracchio per intimorire i bambini dispettosi o le casalinghe poco ordinate. Se mi leggete da qualche tempo, è probabile che possiate ricordare come io stessa ve le abbia raccontate (fra’ Beltramino scuoterebbe il capo, dicendo che non si fanno queste brutte cose).
Perché, in fin dei conti, che cos’è la Signora del Gioco, se non la versione lombarda di quelle misteriose figure femminili che, nel periodo di Natale, penetravano nelle case della brava gente per mangiare il cibo che era stato lasciato per loro sulla tavola, ricompensando i loro ospiti con ricchezza e benedizioni?
Non v’è dubbio che la matrice sia la stessa; così come non v’è dubbio che Sibilia, Pierina (e fra’ Beltramino) abbiano viaggiato un po’ troppo con la fantasia, trasformando in realtà quella che, fino a quel momento, era nulla più che una leggenda popolare.

Curiosamente, le nostre due amiche erano in ottima e abbondante compagnia. Per qualche strana ragione, che sarebbe interessante investigare sotto il profilo socio-antropologico, di tanto in tanto spuntava fuori qualche donnetta che dichiarava di aver realmente partecipato a quei famosi voli notturni. Sembra assurdo; ma se pensiamo che, di tanto in tanto, da noi spunta fuori qualcuno che dichiara d’esser stato rapito dagli alieni, il pensiero ci aiuta forse a rimetter le cose in prospettiva.

Insomma: nel passato, c’era un certo numero di strambi che ogni tanto partivano per la tangente e sostenevano pubblicamente queste strane tesi. Il fenomeno doveva essere ben noto già all’inizio del X secolo, quando l’abate Reginaldo di Prüm compose un manuale contenente istruzioni su come dovesse comportarsi un vescovo in visita pastorale. All’interno del manuale, Reginaldo incluse anche quel breve testo che è passato alla storia come Canon Episcopi: un vademecum contenente consigli operativi per il vescovo che si fosse trovato a dover gestire casi come quelli che ho descritto sopra.

Alla fedele che affermava di compiere voli notturni, il vescovo avrebbe dovuto sottolineare che nulla di ciò che lei diceva era reale: le sue erano solamente allucinazioni, sogni scambiati per verità, fantasticherie di una mente confusa. E tuttavia, il vescovo avrebbe fatto bene a non sottovalutare troppo le conseguenze di certe dicerie: anche le fantasticherie possono creare grossi problemi, nella misura in cui gli squinternati abbandonano per davvero la pratica cristiana perché si convincono di essere seguaci di entità non meglio precisate. Professare pubblicamente queste convenzioni era dunque un peccato, anche se non dei più gravi: le donne trovate colpevoli – prescriveva il Canon Episcopi – avrebbero dovuto scontare una penitenza leggermente inferiore a quella che veniva comminata a chi sostava in preghiera di fronte ai vecchi templi di divinità pagane.

Nell’XI secolo, Bucardo di Worms incluse queste direttive nella sua raccolta di testi canonici; queste indicazioni furono poi riprese nel Decretum Gratiani e restarono, per secoli, la linea guida ufficiale che un religioso avrebbe dovuto utilizzare, se chiamato a deliberare su casi di questo tipo. 
Il che, a ben vedere, fu esattamente ciò che fece fra’ Ruggero nel 1384: trovandosi a giudicare il caso di Sibilia e Pierina, il religioso agì in modo impeccabile, seguendo alla lettera le norme prescritte.

Eppure, qualcosa stava iniziando a cambiare.
E non solamente nella mentalità del clero: è interessante notare che persino nelle leggende popolari queste benevole figure notturne cominciarono improvvisamente a essere dipinte a tinte più fosche. Quelli che un tempo erano spiriti gentili, da attendere con gioia, sempre più spesso si trasformavano in entità minacciose. E soprattutto reali; molto reali.

Questa incarnazione delle figure leggendarie, se così vogliamo chiamarla, è un fenomeno che è stato ben descritto da Norman Cohn: “ciò che fino a quel momento era stato considerato nulla più di una fantasticheria che esisteva solamente nella testa di qualche donna senile, improvvisamente aveva assunto una concretezza oggettiva, materiale”. Evidentemente, questo passaggio portava con sé “implicazioni chiare: l’essere umano che confessava di aver preso parte a queste riunioni non era semplicemente colpevole di aver dato credito a superstizioni pagane: stava realmente venendo a patti con i demoni”.
Perché sì: trattava coi demoni, e su questo non c’era possibilità di dubbio. Perché se è vero che Donna Oriente non esiste, è altrettanto vero che, nella visione cristiana del mondo, non vi sono molti altri esseri che hanno l’interesse e il potere di spacciarsi per lei e andare in giro a raccattare adepti, allontanandoli dalla vera fede.

Il commento dello storico

E qui verrebbe da chiedersi: ma che è ‘sta paranoia?
Era da almeno quattro secoli (ma probabilmente anche da prima) che l’Europa conviveva pacificamente con queste leggende popolari, senza che nessuno si fosse mai fatto venire l’angoscia al pensiero di esseri demoniaci che gli entrano in casa nottetempo. Che diamine era successo, negli ultimi scorci del Trecento, per trasformare la popolazione europea in una distesa di creduloni paranoici che subodoravano complotti satanici in ogni angolo e sussultavano alla sola vista della propria ombra?

In effetti, era successo che quella povera gente aveva cominciato ad accusare il colpo, dopo un secolo che era stato un continuo susseguirsi di disgrazie di larga scala. Casomai ci fosse qualcuno tra i miei lettori che sta cominciando ad avvertire una lieve stanchezza dopo due anni di pandemia: ecco, costui pensasse che questi due anni sono stati una passeggiata, al confronto della caterva di disgrazie no-stop che s’abbatté sull’Europa dal 1315 in avanti. Anni di siccità estrema si alternarono ad anni in cui la pioggia continua faceva marcire interi raccolti. Nel mezzo della peggiore carestia di cui l’umanità avesse memoria, una epidemia di peste bovina sterminò gli animali da macello e da lavoro: si registrarono atti di cannibalismo ai danni della gente che veniva trovata morta per consunzione. Naturalmente, fu poi il turno della peste nera, che in due anni falcidiò mezza Europa; la catastrofe causò il collasso di molte banche, con crisi economiche su larga scala.

Mentre cresceva nella popolazione un senso di smarrimento alimentato dall’impressione che il mondo fosse in balia di un destino sempre più incerto, i successori di Pietro abbandonavano clamorosamente Roma per trasferire la corte papale ad Avignone e poi iniziavano a combattersi ferocemente in una guerra tra papi e antipapi. Per dirla con le parole di Edward Peters, maturò tra i fedeli “la crescente impressione che gli assalti di Satana stessero diventando sempre più potenti e che le difese che vi si potevano opporre fossero sempre più deboli”, tanto più che l’esistenza di due papi in guerra tra loro rendeva dolorosamente chiaro alla maggior parte della popolazione che uno dei due doveva evidentemente avere torto. E persino un uomo medievale di media cultura riusciva a concepire l’interrogativo angoscioso: ma allora, quelli che sono dalla parte del torto stanno amministrando benedizioni e sacramenti invalidi?

È in questo contesto sociale che “un intero panorama di pratiche e credenze locali finì con l’essere rivalutato alla luce dell’esperienza umana vissuta dalla società europea del XIV e XV secolo”. Molte di queste pratiche furono derubricate a superstizione, ma “altre cominciarono, in alcune aree d’Europa, a essere condannate con durezza, come forme di fattucchieria e di stregoneria”.

Non fu un cambiamento che si verificò dal giorno alla notte e che toccò immediatamente tutta Europa. Fu, più che altro, un cambio di paradigmi che cominciò a diffondersi a macchia di leopardo, suggestionando alcuni individui e lasciandone altri indifferenti. In questo, la storia di Sibilia e Pierina è emblematica: nella stessa città, nello stesso tribunale, in seno alla stessa famiglia religiosa, giudici che avevano ricevuto la stessa formazione (ma avevano, evidentemente, sensibilità diverse sul tema) potevano accogliere la stessa confessione approcciandovisi in modi radicalmente opposti.  

Nei primi decenni del Quattrocento, queste nuove idee e questi nuovi timori cominciarono a essere messi per iscritto, nella trattatistica e negli scambi epistolari tra intellettuali. In tal modo, cominciarono a circolare, sfruttando come propulsore gli scambi culturali del mondo accademico e i sinodi vescovili, che radunavano nello stesso luogo religiosi provenienti da aree d’Europa molto lontane (è storicamente dimostrato, per esempio, che il concilio di Basilea abbia contribuito alla diffusione su larga scala di convinzioni legate alla stregoneria che fino ad allora erano attestate solo nella valle del Basso Reno).

Come sempre accade in frangenti simili, queste idee esercitarono una fascinazione particolarmente forte su determinati gruppi di persone. Innanzi tutto e in primo luogo, magistrati laici particolarmente energici che, inorridendo di fronte al pensiero di cosche diaboliche a piede libero sul loro territorio, sfruttarono l’occasione per affermare il loro potere facendo piazza pulita di tutti i facinorosi (o presunti tali). Di lì a poco, gli inquisitori cattolici e i pastori protestanti si trovarono concordi nell’affermare che il problema era reale e dannatamente serio, e andava affrontato con la massima urgenza. E naturalmente, l’invenzione della stampa rese agevole la diffusione di opuscoli e pamphlet che, con le loro tesi spesso portate all’estremo, raggiunsero vaste aree della popolazione.

In un mondo che sembrava sempre più allo sbando, vittima di una serie ininterrotta di catastrofi senza precedenti, sembrava stranamente ragionevole e coerente il pensiero che Satana avesse stretto la sua presa, dispiegando forze che fino a quel momento non aveva mai usato.
Era un pensiero angoscioso, evidentemente, ma paradossalmente rassicurante al tempo stesso: una disgrazia di cui non si conosce la causa lascia annichiliti e totalmente inermi; ma se la causa è stata individuata… allora, è anche possibile cercare un modo per combatterla.

Fu questo il contesto culturale in cui prese corpo la caccia alle streghe.
Che non fu – come spesso si tende a pensare – una psicosi collettiva in sé e per sé: più che altro fu una teoria cospirazionista portata alle estreme conseguenze, ma non priva di una base apparentemente razionale.
Sorprendentemente, non fu nemmeno una questione di misoginia in sé e per sé. La maggior parte degli accusati apparteneva al gentil sesso, e tuttavia gli uomini costituiscono un corposo 30% dei condannati a morte: un dato che ci descrive un fenomeno molto meno “femminile” di quanto normalmente si tenda a pensare.

Fenomeno strano, quello della caccia alle streghe, che nel corso dei secoli cambiò e mutò forma assumendo via via sfumature diverse, seguendo e inseguendo e talvolta precedendo i timori di una società in continua evoluzione. Fenomeno strano, tragico e complesso, sul quale si potrebbero spendere fiumi di parole… cosa che in effetti ho tutta l’intenzione di fare, lanciandomi a capofitto in un progetto di lavoro che mi entusiasma come pochi altri al mondo.

E qui è dove vi presento il progetto

Molti di voi conoscono già Babacio, antropologa culturale esperta nel folkore delle valli valdesi che sui social si presenta con questi termini: “pupazzi artigianali e storia delle religioni. Scommetti che si può?”.
Si può eccome, se le deliziose bambolette che nascono dalle mani di Babacio si ispirano a personaggi mitologici, o variamente legati al folklore. La novità, è che da oggi in poi le sue bamboline si ispireranno anche a “vere” streghe (o maghe. O stregoni!) che nel corso dei secoli furono processati, da tribunali laici e civili.

Con cadenza mensile finché non ci stufiamo, io e Babacio vi racconteremo la storia di uno di loro, inquadrandola nel contesto dell’epoca: sul mio blog troverete la Storia dura e pura, mentre il blog di Babacio vi offrirà qualche considerazione antropologica e, soprattutto, informazioni sul processo creativo utilizzato dalla bambolaia per comporre i pupazzi ispirati ai personaggi in questione.

Abbiamo deciso di chiamare “Masche” le bamboline che nasceranno da questa collaborazione: un omaggio doveroso alle streghe del folklore piemontese, la terra che ha dato i natali ad ambedue. E se non avete mai sentito nominare prima questi personaggi, rimando al post che Babacio ha dedicato loro, in modo che possiate fare le presentazioni.
E, soprattutto, rimando al blog di Babacio anche per scoprire quali sono stati gli elementi che l’hanno aiutata a dare un corpicino di pezza a Sibilia e Pierina, le due sfortunate amiche da cui prende il via questo viaggio. E “benvenuto” a chi vorrà accompagnarci in questa magica stregonesca avventura.

E qui è dove, dieci mesi più tardi, vi dico in cosa si è evoluto il progetto

In un libro! Nel quale si trattano tutti-tutti-tutti i temi affrontati in questo pezzo, e molti altri. Attraverso l’analisi di ventuno storie vere di uomini e donne, andati a processo per magia e stregoneria dal 1308 al 1757. A disposizione su Amazon, se qualcuno volesse andare a curiosare!

Testi citati per chi volesse approfondire:

  • Norman Cohn, Europe’s Inner Demons. The Demonisation of Christians in Medieval Christendom, Pimlico
  • Edward Peter, The Medieval Church and State on Superstition, Magic and Witchcraft: from Augustine to the Sixteenth Century, in: Witchcraft and Magic in Europe. The Middle Ages, University of Pennsylvania Press

7 risposte a "Sibilia e Pierina, le streghe che si lanciarono in un gioco pericoloso"

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    1. Lucia

      Ooohh, grazie! Quando arrivano dagli appassionati e dagli esperti, i complimenti sono ancora più preziosi! 🙂
      E’ il primo di lunga serie di articoli sul tema, spero potranno piacerti anche gli altri che usciranno. Fammi sapere eh! 😀

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